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Scout, a tu per tu con i capigruppo del Monteprandone 1

Di Simone Galieni

MONTEPRANDONE – Abbiamo intervistato questa settimana i capigruppo del Monteprandone 1,Stefano Pulcini e Catia D’Ignazi che ringraziamo per la disponibilità.

Quest’anno , come sappiamo , è nato il gruppo Monteprandone 1: qual è stata la scintilla che ha dato l’impulso per intraprendere questa insolita avventura?
L’intuizione è stata di don Pierluigi. Ce ne parlò in termini entusiastici condividendo con alcuni di noi le impressioni avute nel suo servizio da seminarista a Grottammare nella parrocchia S. Pio V, dove aveva potuto conoscere il Grottammare 1. Quando un giorno durante la Messa, comunicò il desiderio di aprire un gruppo scout nella parrocchia, spinti dalla voglia di fare qualcosa di buono per la comunità, decidemmo di accostarci più per incoscienza che per coscienza a questo nuovo mondo partecipando a vari incontri con la zona nel salone parrocchiale. La spinta decisiva per lanciarci in questa fantastica avventura venne al termine del campo per extra associativi a Fornara: il timore e i dubbi con i quali eravamo partiti, si erano trasformati in coraggio e cominciavamo a intravedere in noi la vocazione al servizio, cioè vivere la nostra scelta cristiana nell’educazione dei piccoli, consapevoli che ciò ci chiedeva di rimettere in discussione i nostri stili di vita.

In questi anni il movimento scout è stato uno strumento utile per educare i ragazzi?
Senz’altro! Oggi non possiamo più educare le nuove generazioni in modo passivo. Lo scautismo è una fonte di educazione attiva dove il ragazzo è protagonista, responsabile della propria crescita personale ed è stimolato a dare il meglio di se per il prossimo. E’ fantastico far passare la fede e i valori umani in modo giocoso, con l’avventura e con la possibilità al ragazzo di essere concretamente utile agli altri con il servizio.

Come gruppo avete qualche progetto per i prossimi anni?
Il nostro obiettivo è quello di andare avanti per gradi. Ci rendiamo conto che in questi primi 3 anni abbiamo fatto passi da gigante, perché le esigenze ce lo hanno imposto essendo partiti dal nulla.
Ora è necessario tenere un passo calmo e deciso, per interiorizzare e raffinare le scelte compiute. Stiamo elaborando il primo progetto educativo di gruppo che ci ha permesso di valutare le nostre risorse e di analizzare il territorio in cui viviamo, capite che è importante fare tutto per bene senza farci prendere dalla fretta. Abbiamo una bella collaborazione con tutti i gruppi della parrocchia Regina Pacis e ci stiamo aprendo verso altre realtà, sia parrocchiali che comunali, vogliamo infatti fare qualcosa di bello e di concreto verso il territorio in cui viviamo.

La decisione di diventare capo scout implica un mettersi in gioco continuamente: cosa ti spinge a fare ciò?
“Andiamo”, non “vai”, se vuoi che un lavoro sia fatto…” Questa frase del nostro fondatore Baden Powell, dice che per interagire con il ragazzo, occorre costruire un rapporto basato sulla fiducia, sulla sincerità e sull’affetto, per farlo non dobbiamo essere i professori che guardano i ragazzi dall’alto verso il basso ma dobbiamo scendere al loro stesso livello, guardarli negli occhi, dobbiamo giocare con loro.
L’amore che abbiamo verso di loro ci spinge a fare questo, ci spinge ad essere, senza alcuna maschera perché non possiamo dire di fare, di amare, di perdonare se noi capi non siamo i primi, non possiamo insegnare loro ciò che non siamo, noi dobbiamo essere i primi a dare l’esempio.

Credi che questa associazione possa dare offrire occasioni per coinvolgere bambini e ragazzi nel percorso di fede?
Sì, oggi ancora più di allora. Partecipando al Convegno Fede di Loreto del novembre 2013, abbiamo raccolto l’invito che veniva da papa Francesco a passare dalla “Chiesa-museo” alla “alla Chiesa-laboratorio”. Se un tempo il percorso di fede iniziava dalla famiglia per poi approfondirsi attraverso quella che un tempo chiamavamo “dottrina”, dove un ragazzo recepiva gli insegnamenti, ora attraverso l’esperienza e la narrazione della fede, possiamo annunciare che essere cristiani non è solo teoria ma azione, vita , concretezza e in questo il metodo scout è un continuo laboratorio di “incarnazione”. In questa nostra riscoperta di essere capi che annunciano il vangelo e parte viva della chiesa e del mondo, troviamo anche la sorgente della nostra spiritualità.

Redazione: