Di Jean-Dominique Durand
Dopo la caduta dei regimi comunisti e l’allargamento dell’Unione europea a Paesi liberati dal comunismo, la questione dei confini tra Europa e Russia è diventata sempre più acuta. Paradosso della storia. La grande maggioranza degli Stati europei appartiene alla stessa organizzazione politica sulla base di una libera scelta, non della conquista militare, in una “quasi coincidenza” tra Europa istituzionale (l’Ue) e geografica. Sempre più vicina all’ideale di grande Europa, “dall’Atlantico agli Urali”, proposta dal generale de Gaulle nel 1959, questa Europa avrebbe dovuto, secondo Giovanni Paolo II, respirare con i suoi “due polmoni”, dell’est e dell’ovest.
Il problema è che tale visione è innanzitutto una “visione occidentale”: gli Urali non sono mai stati né un confine politico né un limite naturale, e nemmeno un ostacolo tra i popoli. E la visione del presidente dell’Urss Michail Gorbaciov di una “casa comune europea” non era per niente definita; allo stesso modo il punto di vista occidentale non è più preciso in tal senso. Al Consiglio europeo di Lisbona, nel giugno 1992, la Commissione sosteneva: cosa sia “europeo” “non può essere ufficialmente stabilito”, quindi “non è possibile né opportuno fissare i confini dell’Unione europea, i cui limiti saranno ancora ridefiniti”. Il Trattato di Amsterdam diceva, nel 1997, che può entrare nell’Unione, ogni “Stato europeo” (art. 49) rispettando i principi di libertà, democrazia, rispetto dei diritti dell’uomo (art. 61).
Questa questione dei confini è fondamentale. Nell’agosto del 1978, il cardinal Wojtyla in un famoso saggio domandava: “Una frontiera per l’Europa, dove?”. La domanda è tanto più cruciale perché misura il peso della storia, una storia spesso crudelissima, ma una storia troppe volte dimenticata o addirittura ignorata dai politici occidentali.
Dove si ferma l’Europa? A lungo l’Europa si è fermata sulla Cortina di ferro, tracciata in mezzo al suo spazio. Ma l’Europa dall’altra parte di questa frontiera – imposta dai sovietici – era pur sempre parte dello stesso insieme geografico, storico e spirituale continentale.
Lo scrittore di origine ceca Milan Kundera aveva non a caso parlato, nel 1983, dell’”Occidente rapito o la tragedia dell’Europa centrale”.
È l’immensa questione, mai risolta nella storia, cui assistiamo anche in questo momento, dei rapporti del mondo russo con l’Occidente, tra cattolicesimo e ortodossia, tra concezioni diverse del potere politico e dei diritti umani e persino di nazione.
La definizione della frontiera resta un elemento chiave dell’identità nazionale da affermare. La storia dell’Europa di questi ultimi 25 anni è anche la storia della costruzione di nuove barriere, di nuovi confini, come dimostrano gli Stati nati dallo smantellamento della Jugoslavia e dell’Unione sovietica. È la storia di nuove paure e di nuovi nazionalismi, di vecchie sofferenze e di antichi odi, di memorie passate ma particolarmente vive, di pregiudizi e divisioni tra popoli, etnie, gruppi linguistici, di passioni mai spente.
Il sociologo francese Emmanuel Todd parla della “frammentazione antropologica” dell’Europa. Nella sua parte orientale, si tratta anche di una frammentazione storica, con ferite profonde che appaiono impossibili da cicatrizzare.
La crisi attuale nell’est europeo, tra Ucraina e Russia, ha le sue radici in una lunga storia di nazionalismi, di identità e di sofferenze assurde. Come dimenticare la grande carestia organizzata in Ucraina dal potere sovietico, cioè russo, l’Holodomor, ossia lo sterminio per mezzo della fame, che uccise tra 3 e 5 milioni di persone tra 1931 e 1933? La crisi ha anche le sue radici in un grande impero, la Russia, Paese di confine europeo e nello stesso tempo asiatico, che non può accettare una perdita di potenza.
Poco tempo fa, per l’apertura delle Olimpiadi di Sochi, la Russia ha fornito una lettura della propria storia che i responsabili dell’Unione europea dovrebbero prendere in considerazione per capire la posizione di Mosca.
La posta in gioco è l’equilibrio di tutta l’Europa. È importante che gli occidentali facciano lo sforzo di conoscere una storia complessa, la cui comprensione permetterebbe di capire le motivazioni profonde di quanto accade fra ucraini e russi, evitando posizioni rigide e dogmatiche che porterebbero inevitabilmente allo scontro.
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