Di Luigi Crimella
La crisi economica ha chiesto un “prezzo altissimo al lavoro e all’occupazione” e “si riversa come una tempesta impietosa sui giovani”, che tuttavia mostrano “una grande pazienza e danno prova d’intraprendenza grazie alla genialità che spesso caratterizza l’età giovanile”. Queste parole della prolusione del cardinale Angelo Bagnasco, pronunciate ieri in apertura dei lavori a Roma del Consiglio episcopale permanente, sono lo spunto per un’intervista con il direttore generale della Fondazione Censis – Centro studi investimenti sociali, Giuseppe Roma. Il sociologo riflette sulle sottolineature del cardinale, anche per quanto riguarda il sostegno a “chi crea lavoro”, cioè alle imprese, e all’esigenza di “rimodulare la concezione del lavoro”.
Dunque, nelle parole del cardinale Bagnasco l’emergenza più forte è per i disoccupati e per i giovani che restano “fuori dalla porta del lavoro”?
“Il cardinale ha ben compreso il problema più grave che la crisi ha prodotto sul tessuto sociale. Quando parla di giovani, parla di famiglie che non solo devono sostenerli materialmente, ma anche moralmente. Ma le recenti generazioni hanno mostrato non solo ‘grande pazienza’, ma anche grande coraggio perseguendo il proprio progetto di vita. Molti non ci riescono, purtroppo, ma molti altri sì. Tra loro anche quel milione e 200mila giovani che lavorano in altri Paesi, e lo fanno con spirito non di ‘perdenti’, ma di chi ormai vede l’Europa, e anche per alcuni di loro gli altri continenti, come il grande contenitore di speranze dove puntare per costruirsi un futuro”.
Per “farcela” un giovane oggi deve necessariamente andare all’estero?
“Direi di no, sarebbe triste se cosi fosse. Lo mostrano quei giovani che invece rimangono in Italia e si cimentano affrontando la ‘sfida’ di costruire una propria impresa, come professionisti, tecnici, piccoli imprenditori dei servizi, del lavoro autonomo. Dovremmo considerare di più sia la genialità, sia le cose più normali. Penso a una formazione professionale che indirizzi i giovani verso lavori e competenze tecnico-operative di buon livello: manutenzioni, artigianato di servizio, lavori ‘rari’. Con l’ente salesiano Ciofs il Censis ha studiato in profondità questi mestieri un po’ trascurati e che invece darebbero spazi inediti di realizzazione umana e professionale. Ad esempio, i meccanici di precisione che poi vengono assunti dalla Ferrari, o i comandanti e tecnici di macchina sulle navi, o i tecnici del controllo numerico computerizzato per le produzioni manifatturiere. Purtroppo molti luoghi comuni circolano sui giovani e il lavoro. Questo non aiuta a fare le scelte giuste”.
Il cardinale ha detto di “sostenere in modo incisivo chi crea lavoro e occupazione”. Come commenta questo invito?
“Che è sacrosanto. L’impresa è la priorità, non c’è nessuna possibilità di dare lavoro se non attraverso le imprese. Ma chi vi lavora deve non solo produrre, ma anche ‘moltiplicare’ i propri talenti e quelli della stessa impresa, perché proprio l’impresa è il meccanismo attraverso cui si crea il valore di una società. E parlo di valore economico, scientifico, tecnologico, sociale. Più imprese vitali e creative, più ‘valore’, più posti di lavoro, più vitalità sociale. Il cardinale ha messo in ordine la questione. Parla anche di ‘dannose burocrazie’. Se l’impresa viene ostacolata proprio dalla burocrazia, è un guaio. Va controllata, questo sì, ma incoraggiandone l’attività, non frenandola”.
Incentivare i consumi senza tornare al consumismo: così ha detto il cardinale. Cosa significa?
“Che dobbiamo riattivare i consumi, ma in maniera attenta e ‘sobria’, cioè intelligente. Ad esempio, cercando, se possibile, di ‘consumare’ italiano piuttosto che importare da Corea, Cina o altro. E ancora puntare sui consumi di servizi, tipo l’assistenza personale, il lavoro domestico, l’artigianato, la cultura, il turismo, che generano lavoro e ricchezza interna. Non è detto che comprare un’auto straniera faccia sviluppo, ma fare un pellegrinaggio a Loreto, questo sì perché muove risorse in Italia”.
Sul lavoro il presidente della Cei ha parlato di “mentalità partecipativa e collaborativa”. Che significa?
“Penso intendesse dire che la produttività aumenta se ci sono nuove forme di partecipazione al lavoro che coinvolgano di più i lavoratori, a tutti i livelli. La Germania ci dà l’esempio di altissimi premi delle aziende ai dipendenti, mentre noi in Italia abbiamo solo rarissimi casi del genere. Per essere davvero produttivo il lavoro deve coinvolgere tutti e non premiare solo i manager e i quadri. Aggiungo che i milioni di giovani che sono ‘fuori’ dal lavoro e dal reddito andrebbero tenuti in considerazione. D’accordo aiutare i redditi bassi, ma chi il reddito proprio non ce l’ha? È giunto il momento d’innovare, superando le tante e grandi rigidità del nostro sistema-Italia”.