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Contro gli “abusi” c’è un dovere morale

Di Francesco Bonini

Sono ormai operative le “Linee guida per i casi di abuso sessuale nei confronti di minori da parte di chierici”, pubblicate dalla Cei nel corso della sessione primaverile del Consiglio permanente. Sono così chiari e disponibili anche in Italia tutti gli strumenti normativi in attuazione delle disposizioni richieste nel 2011 dall’ex Sant’Uffizio, su indicazione pressante del Papa Benedetto XVI, per dare concrete risposte, proprio dal punto di vista “legislativo”, a una questione che, in molti Paesi occidentali, a partire dagli Stati Uniti, aveva provocato una vera e propria messa in stato d’accusa della Chiesa cattolica.
Papa Francesco nei giorni scorsi aveva insediato la Pontificia Commissione per la tutela dei minori, con il compito di “contribuire alla missione del Santo Padre di rispondere alla sacra responsabilità di assicurare la sicurezza della gioventù”. Prima nell’elenco dei nominati spicca Maria Collins, già vittima di abusi da bambina, nel corso degli anni Sessanta, e dagli anni Ottanta impegnata nella Chiesa irlandese nella lotta agli abusi e nel supporto alle vittime. Un segnale molto preciso e molto immediato.
Si può dire così che ormai il quadro è ben delineato, ispirato alla linea indicata da Benedetto XVI: il dovere morale di azioni concrete.
Nel documento si delineano le linee guida del processo penale canonico, applicato a un crimine ascritto tra i “graviora”, cioè i più gravi. Si tratta di una procedura distinta da quella civile. Centrale è il ruolo del vescovo, “padre e fratello”, tanto nei confronti delle vittime, che dei sacerdoti accusati di abusi.
Il procedimento canonico è autonomo da quello civile, anche se si può svolgere in parallelo. Si spiega proprio in questo quadro l’importanza della “cooperazione del vescovo con le autorità civili, nell’ambito delle rispettive competenze e nel rispetto della normativa concordataria e civile”. In concreto, questo comporta comunque anche sottolineare il fatto che “nell’ordinamento italiano il vescovo, non rivestendo la qualifica di pubblico ufficiale né di incaricato di pubblico servizio, non ha l’obbligo giuridico – salvo il dovere morale di contribuire al bene comune – di denunciare all’autorità giudiziaria statuale le notizie che abbia ricevuto in merito ai fatti illeciti” come gli abusi. Che non è certo un modo per minimizzare o costruire alibi, ma per sottolineare il principio dell’autonomia e della distinzione degli ordinamenti, che è garanzia, per tutti, di libertà. Anzi, anche nel processo civile, si legge nel documento, “la competente Autorità ecclesiastica, nel rispetto della vigente normativa canonica e civile, provvederà a fornire al denunciante tutto l’aiuto spirituale e psicologico necessario, con ogni premura verso le vittime”.
È una cornice istituzionale chiara e semplice, per ribadire un rapporto di fiducia e la caratteristica che continua a contraddistinguere la Chiesa in Italia: una Chiesa di popolo, che quotidianamente si spende per il bene, senza riserve, tra la gente.

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