Ma questo complesso processo di revisione-rilancio, tuttora in corso e dagli esiti non scontati, sembrerebbe procedere senza il pieno coinvolgimento dell’opinione pubblica, della società civile, con il rischio di approfondire quella distanza tra cittadini e istituzioni europee da più parti denunciato. È il “gap democratico” imputato al processo di edificazione dell’Europa unita e che, per ovvie ragioni, chiama in causa i mass media. Sono infatti giornali, televisioni, radio, siti internet che hanno il compito di informare sulla vita politica, sia essa locale, nazionale o europea: è mediante gli strumenti della comunicazione sociale che il singolo cittadino può seguire il dibattito politico, le decisioni assunte nei “palazzi” del potere, informarsi per giudicare, conoscere per poter essere protagonista della vita democratica.
A questo proposito è convinzione diffusa che l’informazione a disposizione dei lettori italiani sulle vicende europee sia molto modesta, frammentaria, incompleta, troppe volte marcata da pre-giudizi e da uno strisciante messaggio euroscettico. Così è difficile rendersi conto del lavoro svolto da Commissione, Europarlamento e Consiglio Ue; comprendere la direzione che assumono le politiche comunitarie; valutare gli innumerevoli progetti Ue in corso di realizzazione nelle sfere di sua competenza; verificare i risultati della complessiva azione Ue. Quando, tra 50 giorni, gli elettori dovranno esprimere il loro voto per il nuovo Parlamento europeo, sulla base di quali informazioni potranno scegliere i loro rappresentanti, tenuto anche conto che la campagna elettorale rischia di svolgersi, come avvenuto in passato, non attorno a una seria discussione politica sull’Europa ma sulle beghe e le contrapposizioni nazionali?
Anche di questo si è discusso nel corso del convegno promosso a Gorizia dal settimanale cattolico “Voce isontina”, in collaborazione con la Federazione italiana dei settimanali cattolici e con l’Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali della Cei. Una tre-giorni non a caso intitolata “Europa e confini”, che ha analizzato nel corso di una tavola rotonda il tema “In Europa da giornalisti cattolici”. Ne è emerso il convincimento che il deficit informativo esiste, eccome, ma che esso possa essere colmato anche grazie al contributo dei giornali del territorio quali sono i settimanali diocesani, vicinissimi – per loro storia e vocazione – ai lettori, alle famiglie, ai soggetti vivi delle città e regioni italiane. Giornali radicati nella comunità cristiana, interpreti delle specificità territoriali del Bel Paese, senza per questo cadere nella tentazione dei particolarismi che attraversano la Penisola. Giornali capaci di essere, al contempo, “di confine”, nel raccontare una determinata e circoscritta realtà diocesana, e al contempo “ponti” fra la realtà locale e quella più ampia, facendo proprio quell’universalismo che è un tratto caratterizzante la fede cristiana.
Tale capacità di tenere le radici ben salde nelle città per poi alzare gli occhi verso orizzonti più distesi, sarebbe posta efficacemente al servizio di quella costruzione europea resasi necessaria nel secondo dopoguerra per ridare pace e sviluppo all’Europa, continente che oggi – è sotto gli occhi di tutti – ha ancora bisogno di pace e di sviluppo. Un’Europa che ha sempre avuto dalla Chiesa cattolica un’attenzione benevola e forti incoraggiamenti. I settimanali diocesani possono essere, con il loro compito informativo, parte viva di quella “Ecclesia in Europa” tratteggiata da Giovanni Paolo II con la sua esortazione apostolica del 2003. I giornali “vicini alla gente” interpreterebbero in tal senso, e in maniera originale, una sorta di “principio di sussidiarietà informativa”, portando nelle case dei lettori quell’Europa così apparentemente lontana e che invece è ormai parte della nostra vita quotidiana.