di Claudio Tracanna
Come è consuetudine, il due aprile, al termine dell’udienza generale del mercoledì, Papa Francesco ha salutato i gruppi dei pellegrini presenti tra cui gli aquilani appartenenti al gruppo di azione civica “Jemo ‘nnanzi” (Andiamo avanti). Questo modo di dire, tipicamente aquilano, ha ricevuto la sua ‘consacrazione’ perché pronunciato più volte e, con evidente affetto, dal Papa che, in qualche modo, gli ha dato il significato più giusto. L’espressione aquilana, infatti, tradotta letteralmente, è un invito a guardare avanti, a progettare un futuro lasciando alle spalle quanto di negativo è accaduto. Nella sua forma originaria, però, esprime anche la rassegnazione dell’uomo di fronte agli eventi, ovvero l’atteggiamento di chi tende ad accettare passivamente la realtà limitandosi, appunto, ad andare avanti.
È tipico della gente di montagna, abituata a convivere con un territorio roccioso che difficilmente si lascia scalfire o trasformare e pretende, quindi, di essere solamente accettato. Forse proprio questo atteggiamento, insieme a numerosi altri importanti fattori, ha fatto sì che L’Aquila ancora stenti a rinascere. Allora l’affettuoso invito che Papa Francesco ha rivolto agli aquilani determina, una volta per tutte, l’atteggiamento giusto da abbinare alla tipica espressione dialettale “Jemo ‘nnanzi”. Essere protagonisti intelligenti del proprio futuro, abbandonare piccole battaglie di quartiere, uscire da logiche di campanile e rimboccarsi tutti le maniche per togliere macerie e polvere dal volto bello del capoluogo abruzzese. Andare avanti per fermare il movimento di tanti aquilani che stanno lasciando il cosiddetto cratere e restituire certezze soprattutto alle nuove generazioni che vedono sempre più precario il proprio futuro nella loro città. Andare avanti progettando la ricostruzione senza dimenticare che una città non è fatta solo di abitazioni. Una città, infatti non può rinascere contando solo sul lavoro di tecnici della ricostruzione o di burocrati statali. Ed ecco perché Papa Francesco ha ricordato che non solo le case, ovviamente indispensabili, ma anche le chiese e i monumenti devono essere recuperati perché in essi è la radice di ogni aquilano. Ed oggi, purtroppo, ancora ci si confronta per trovare una corretta interpretazione degli strumenti legislativi che regolano la ricostruzione dell’Aquila, bloccando di fatto la riparazione di molti monumenti del centro storico cittadino.
A cinque anni dal terremoto, dunque, l’espressione “Jemo ‘nnanzi” sia la parola d’ordine per tutti. Dei politici che non sempre sembrano puntare alla realizzazione del bene comune, dei candidati alle prossime elezioni regionali abruzzesi che promettono mari e monti, dei ministri dell’attuale Governo che dicono di avere a cuore la sorte della città, dei cittadini tutti che devono guardare oltre il proprio recinto. Bisogna andare avanti, oltre la diffusa mediocrità della situazione presente per costruire un futuro degno dell’Aquila. La stessa forza e la stessa dignità dimostrate dagli aquilani nel corso della storia e all’indomani del sisma, dovranno accompagnare la difficilissima avventura della ricostruzione. Anche perché, un altro Papa, proprio cinque anni fa, dando voce a tutte le vittime, disse che i 309 martiri proprio questo si aspettano da tutti gli aquilani: L’Aquila più bella di prima.
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