Di Alberto Campaleoni
I giovani “hanno inquietudini, e io sento come un mio dovere servire a questi giovani, perché l’inquietudine è come un segno. Mi sento di fare un servizio a quello che è più prezioso in questo momento, che è la vostra inquietudine”.
Le parole sono di Papa Francesco, pronunciate durante una singolare intervista nei giorni scorsi, quando ha incontrato cinque giovani belgi di lingua fiamminga, dialogando con loro. I media, di quella conversazione, hanno riportato per lo più un passaggio sui poveri e sul “comunismo”, mentre il Sir ha offerto in sede di cronaca un resoconto più dettagliato. Così diceva Papa Francesco a proposito dei poveri: “Questo è il cuore del Vangelo, io sono credente in Dio e in Gesù Cristo, per me il cuore del Vangelo è nei poveri. Ho sentito due mesi fa che una persona ha detto: con questo parlare dei poveri, questo Papa è un comunista! No questa è una bandiera del Vangelo, la povertà senza ideologia, i poveri sono al centro del Vangelo di Gesù”. I titoli dei media hanno subito rilanciato: “Il Papa: non sono comunista”. Questo per ricordare come funziona il meccanismo mediatico, che naturalmente fa una selezione delle notizie e raccoglie e rilancia le immagini più “sensazionali”. In questo caso l’accostamento tra il Papa e il comunismo.
Ma in realtà, le parole più provocanti del Papa, in quel dialogo con i giovani, sono probabilmente quelle sulla loro “inquietudine”. Non fanno audience, ma colgono nel segno e offrono anche un’importante chiave di lettura educativa. Colgono nel segno, anzitutto, perché evidenziano quella che è una vera caratteristica dell’animo giovanile (e umano in generale): l’inquietudine, lo stare a disagio nei propri panni, l’insoddisfazione che viene dal cercare di più, guardare oltre. Si tratta di una caratteristica preziosa. Anzi, dice il Papa, è “quello che è più prezioso in questo momento”. E nello stesso tempo, è quello che spesso viene dimenticato, in una società dell’appagamento, che ad ogni “inquietudine” mette la sordina, la soffoca con l’eccesso di beni, cose, informazioni, emozioni… Ricordarsi dell’inquietudine che anima ogni persona – e i giovani anzitutto – vuol dire ricordarsi di un progetto di uomo, concepire ciascuno di noi come apertura infinita, tensione verso l’altro e il mondo, relazione. E non piuttosto un individuo chiuso su se stesso.
Le parole del Papa, dunque, aprono uno scenario ben preciso. Offrono anche, si diceva, una prospettiva educativa. Perché Francesco, di fronte all’inquietudine dei giovani si pone nell’atteggiamento di chi la riconosce e l’ascolta. Di più – dice il Papa – “mi sento di fare un servizio” alla vostra inquietudine.
È un vero manifesto per ciascun educatore, dai genitori agli insegnanti, a tutti quanti hanno a che fare con le questioni educative: ascoltare, raccogliere, riconoscere, servire. Tradotto in “scolastichese”, ad esempio, ritroviamo qui il motto dell’“allievo al centro”, non solo uno slogan ma la sintesi di buone pratiche di insegnamento/apprendimento capaci di valorizzare ogni studente, attivando in concreto il suo processo di crescita, la maturazione delle sue capacità, che non sono solo quelle logiche, matematiche, linguistiche… ma riguardano lo sviluppo integrale (che pure, a scuola, passa dalle “competenze” accennate). Buone pratiche che si intrecciano e si confrontano con tutto il sistema educativo. Anch’esso “inquieto”, perché avendo al centro la persona è e deve restare mobile, aperto, capace di provocazione e sensibile ad essere provocato. Anche dalla parole del Papa.
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