Di Giovanna Pasqualin Traversa
Nonostante la crisi economica e un sistema sanitario pubblico stretto dalla morsa finanziaria, la salute degli italiani dimostra di avere ancora una buona dose di resistenza. Ma quanto potrà durare? È l’interrogativo sollevato dall’analisi dell’undicesimo rapporto Osservasalute 2013, pubblicato dall’Osservatorio nazionale sulla salute nelle Regioni Italiane che ha sede presso l’Università cattolica, presentato ieri (16 aprile) al Policlinico Gemelli di Roma. Dal Rapporto emerge un Paese con una speranza di vita aumentata progressivamente negli anni, ma anche un Paese “anziano”, “obeso” e “sedentario”. “La spending review rischia di far saltare il Servizio sanitario nazionale”, spiega il documento, e intanto negli ultimi dieci anni è più che raddoppiata la spesa sostenuta dai cittadini per farmaci e prestazioni (da 11,3 euro del 2003 a 23,7 €nel 2012, ossia dal 5,2% al 12,2% del totale della spesa), mentre i reparti e le strutture sono sempre più sguarniti di personale, e per i giovani medici è rischio fuga all’estero. Persistono “differenze eclatanti tra regioni: in alcune non si riesce neppure a garantire i servizi essenziali”, avverteWalter Ricciardi, direttore del Dipartimento di sanità pubblica del Policlinico universitario e direttore dell’Osservatorio. Il Rapporto è frutto del lavoro di 165 esperti di sanità pubblica, clinici, demografi, epidemiologi, matematici, statistici ed economisti, distribuiti su tutto il territorio italiano.
Sanità pubblica sempre più povera. Il volume di attività di assistenza erogata dal Ssn ha subito contrazioni già dal 2010, prosegue Ricciardi: “La spesa a prezzi costanti (quella depurata dall’inflazione) nel 2010 si è attestata a 100,1 miliardi contro i 100,3 del 2009. Un trend che si conferma nel 2012 quando anche la spesa a prezzi correnti (111 miliardi) è scesa rispetto al 2011 (113 miliardi)”. Ricciardi esprime il timore che gli sforzi per il contenimento del debito e per il rispetto dei vincoli di bilancio concordati con l’Ue possano “mettere a rischio l’intero sistema di welfare”, e sottolinea la necessità di migliorarne l’efficienza “eliminando la corruzione e gli sprechi reali che affliggono il nostro sistema pubblico”. Fondamentale incrementare le risorse per la prevenzione primaria attraverso “investimenti destinati ad avere alti rendimenti futuri”. Trascurare le politiche di prevenzione, avverte, “significa dissipare i progressi osservati in questi anni e, addirittura, rischiare di arretrare in termini di salute”. Tra le “minacce” per il futuro della salute degli italiani l’allarme fuga dei giovani medici all’estero. “In Italia si sta prefigurando una vera emigrazione di massa” soprattutto in Francia, Germania e Svizzera. In Gran Bretagna sono già diverse migliaia.
Più speranza di vita. Alessandro Solipaca, dirigente Istat e segretario scientifico dell’Osservatorio, esprime soddisfazione per l’aumento della speranza di vita e per la crescita dal Nord al Sud del numero di Asl “in pareggio di bilancio o almeno con deficit contenuti, anche se a detrimento delle prestazioni erogate”. I deficit maggiori, afferma, “li hanno le Asl con finanziamenti più bassi e questo fa pensare ad un cattivo funzionamento del sistema di allocazione delle risorse”. “Non soddisfacenti”, secondo Solipaca, gli stili di vita degli italiani: “ancora troppo elevato il consumo di alcol, troppe le persone in sovrappeso”. E l’eccesso ponderale infantile (oltre il 35% tra i 6 e i 10 anni, in diminuzione al crescere dell’età) è legato a fenomeni locali e socio-culturali: aumenta significativamente passando dal 22,7% del Nord al 34,6% del Sud, con percentuali più elevate nelle famiglie a basso reddito e a basso livello d’istruzione.
Allarme alcol giovanissimi. Sull’allarme alcol, causa ogni anno di 18mila morti, si sofferma Emanuele Scafato, direttore del relativo Osservatorio nazionale presso l’Istituto superiore di sanità. “Nel nostro Paese – dice al Sir – manca la percezione della gravità dell’abuso di alcol. È soprattutto un problema culturale”. Se diminuiscono lievemente i consumatori, passando dal 65,7% del 2011 al 65% del 2012, “sono ancora troppi i consumatori a maggior rischio, gli adulti che bevono per ubriacarsi” ma soprattutto “i giovani e i minori che lo fanno secondo le modalità del binge drinking e non possono essere associati esclusivamente a culture trasgressive o di tendenza, ma pongono un serio problema di legalità e rispetto delle norme a loro tutela”. “Le morti improvvise per coma etilico sono inaccettabili”, sostiene puntando il dito contro “logiche di mercato (happy hour) che vanno contro l’educazione e la prevenzione”. Servono regole per “questa sorta di dittatura informatizzata dove nessuno ha la possibilità di scegliere consapevolmente”, insiste l’esperto con riferimento alla tristemente nota Neknomination. “Ai giovani occorre fornire elementi di giudizio e capacità di tutelare la propria salute”.