Il capo famiglia beve dal primo calice e dà così inizio alla festa. Ci si lava poi le mani. Ognuno lo fa per conto suo, perché in questa festa di liberazione, nessuno deve essere servo di un altro. Vediamo qui un primo intervento, diremmo di “discontinuità” di Gesù. Infatti Cristo, così come ci racconta il Vangelo di Giovanni, prese un catino e, avvoltosi un panno attorno alla vita, si mise a lavare i piedi dei discepoli. Possiamo immaginare tutta la meraviglia e lo stupore degli apostoli davanti a questo gesto di Gesù, compiuto in un momento così particolare per la religione ebraica. In maniera chiara ed inequivocabile, ancora di più per un lettore ebreo, Gesù si rende servo dei suoi discepoli.
Viene poi intinto il sedano nell’acqua, le gocce che cadono ricordano le lacrime versate in Egitto. Delle tre focacce di pane azzimo, si prende quella di mezzo e la si spezza in due. Si beve poi dal secondo calice e si narra come Dio abbia liberato il popolo ebraico dalla schiavitù degli egizi. Ci si lava ancora una volta le mani.
Il capo famiglia prende poi il pane azzimo, lo spezza e lo distribuisce ai commensali. È a questo punto della cena che Gesù ha detto le parole “Questo è il mio corpo”. Quel pane, che già aveva un significato positivo di libertà e di liberazione, acquista in maniera ancora più forte questo significato, divenendo il corpo di colui che libera dal peccato e dalla morte.
Si intinge poi nella salsa karoset. È a questo punto che Gesù ha smascherato il traditore. Seguiamo la narrazione di Giovanni. Gesù ha detto durante la cena che qualcuno lo avrebbe tradito, provocando un momento di gelo fra i suoi discepoli. Pietro ha così chiesto a Giovanni che sedeva vicino a Gesù di domandargli chi fosse il traditore. E così fece appoggiandosi sul petto di Gesù. Il maestro disse a Giovanni che il traditore era colui al quale avrebbe passato un boccone intinto (nella salsa karoset).
Dopo tutti questi “antipasti”, si passa alla cena vera e propria, quando si mangia l’agnello, in ricordo di quello che si è sacrificato per la salvezza degli ebrei. Dopo aver mangiato la carne arrostita. Si beve il terzo calice, quello della redenzione. È a questo punto che Gesù ha detto le parole: “Questo è il mio sangue”. Ne abbiamo un eco nella formula di consacrazione, quando il sacerdote dice: “Dopo la cena (cioè dopo aver consumato l’agnello), allo stesso modo prese il calice…”.
Si brinda poi col quarto calice, quello col quale si ringrazia Dio per aver scelto il popolo ebraico fra tutti i popoli della terra e si conclude la cena recitando un inno. Di questa preghiera ci parlano i vangeli quando ci dicono “E dopo aver recitato l’inno, uscirono verso il monte degli ulivi” (Cfr. Mc 14,26).
C’è un quinto calice, riservato al profeta Elia, che secondo una tradizione ancora viva presso gli ebrei, sarebbe dovuto venire prima dell’avvento del Messia. È a questo calice che probabilmente Gesù allude quando nell’orto degli ulivi prega dicendo “Padre, allontana da me questo calice”.