Oltre 40mila persone si sono assiepate ieri sera intorno al Colosseo per la tradizionale Via Crucis del Venerdì Santo. Tra tante fiaccole accese in una serata d’aprile piuttosto fredda, intorno alle 21.10 l’atmosfera sommessa viene spezzata da grida di giubilo all’arrivo di papa Francesco, a bordo di una Ford Mondeo azzurra.
Accolto sulla terrazza del Palatino dal sindaco di Roma, Ignazio Marino, il Santo Padre si dirige poi verso la propria postazione, dalla quale, seduto e raccolto in preghiera, seguirà dall’alto il procedere delle quattordici stazioni.
Il Papa appare particolarmente stanco e assorto nei suoi pensieri, ben diverso dal Francesco vivace e cordiale delle Udienze Generali, prodigo di abbracci ai bambini e carezze ai disabili. Un contegno che sembra confermare la probabilità – annunciata poche ore prima dal portavoce vaticano, padre Federico Lombardi – che il Pontefice non parli al termine della Via Crucis, limitandosi alla benedizione finale.
Intanto, all’interno del Colosseo, luogo dove i primi martiri romani versarono il loro sangue, convertendo la capitale del più grande impero di tutti i tempi, nella capitale della cristianità, la processione avanza, con in testa il Cardinale Vicario, Agostino Vallini, i vescovi ausiliari e alcuni dei più importanti rappresentanti della diocesi di Roma.
L’attrice Virna Lisi e il giornalista di Radio Vaticana, Orazio Coclite, leggono le meditazioni preparate quest’anno dall’arcivescovo di Campobasso-Boiano, monsignor Giancarlo Bregantini. È un’autentica immersione nei mali dell’umanità odierna: ingiustizie crudeli, disarmanti, inspiegabili, la cui risposta – come per le ingiustizie del passato – è nel silenzio del Cristo agonizzante.
Ce n’è per il giustizialismo a buon mercato, sempre in cerca del capro espiatorio, delle “facili accuse”, dei “giudizi superficiali”, delle “insinuazioni”, dei “preconcetti che chiudono il cuore e si fanno cultura razzista”, delle “lettere anonime” e delle “orribili calunnie” di cui fa le spese Gesù per mano di Pilato (I Stazione).
“Accusati, si è subito sbattuti in prima pagina; scagionati, si finisce in ultima!”. E Gesù, per Pilato, diventa “un caso imbarazzante”…
Ma il pesante giogo della Croce, Cristo (II Stazione) lo porta anche per le vittime della crisi economica, della “precarietà”, della “disoccupazione”, dei “licenziamenti”, della “speculazione finanziaria”, dei “suicidi degli imprenditori”, della “corruzione” e della “usura”.
Gesù, quindi, si prende sulle spalle le ingiustizie che gravano sui lavoratori e ci insegna a “creare ponti di solidarietà e di speranza, per non essere pecore erranti né smarrite in questa crisi”.
“Fragile” ed “umanissimo”, il Condannato cade una, due, tre volte (III, VII e IX Stazione) ed altrettante si rialza, insegnandoci “ad accettare le nostre fragilità, a non scoraggiarci per i nostri fallimenti, a riconoscere con lealtà i nostri limiti”.
Il suo è “il grido dei perseguitati, dei morenti, dei malati terminali, degli oppressi sotto il giogo”: una tribolazione simile a quella di una futura madre che “soffre nel parto” ma che sa che le sue sono “le doglie della vita nuova, della primavera in fiore, proprio per quella potatura”.
E intanto Maria va incontro al Figlio morente (IV Stazione), raccogliendo “tutte le lacrime di ogni mamma per i figli lontani, per i giovani condannati a morte, trucidati o partiti per la guerra, specie i bambini-soldato”.
In Lei “sentiamo il lamento straziante delle madri per i loro figli, morenti a causa dei tumori prodotti dagli incendi dei rifiuti tossici”, le “lacrime amarissime” delle “mamme vigilanti nella notte con le lampade accese, trepidanti per i giovani travolti dalla precarietà o inghiottiti dalla droga e dall’alcol, specie il sabato notte!”.
Simone di Cirene (V Stazione) è il segno della “guarigione dal nostro egoismo”, di una “fraternità mistica” e “contemplativa” che sa guardare alla grandezza sacra del prossimo” e aprire “il cuore all’amore divino”, cercando “la felicità degli altri nei tanti gesti del volontariato”.
Il Condannato procede nella sua via dolorosa e gli vengono strappate di dosso le vesti (X Stazione) e in Lui “innocente, denudato e torturato, riconosciamo la dignità violata di tutti gli innocenti, specialmente dei piccoli”.
Viene poi inchiodato in Croce (XI Stazione), ricordandoci che “la malattia non chiede permesso” e “giunge sempre inattesa”, tuttavia “può diventare una grande scuola di sapienza, incontro col Dio Paziente”.
Alla sua morte, “Gesù viene consegnato finalmente a sua Madre” (XIV Stazione) e “Maria s’incatena in un abbraccio totale a Lui”: così “la battaglia è vinta” e “l’amore non è stato spezzato”, perché “l’amore è più forte della morte”.
Contrariamente alle previsioni, alla fine della Via Crucis, il Santo Padre ha pronunciato la sua meditazione. “Il male non avrà l’ultima parola, ma l’amore, la misericordia e il perdono”, ha detto papa Francesco.
Sulla Croce di Suo Figlio, Dio Padre pone “tutto il peso dei nostri peccati, tutte le ingiustizie perpetrate da ogni Caino contro suo fratello, tutta l’amarezza del tradimento di Giuda e di Pietro, tutta la vanità dei prepotenti, tutta l’arroganza dei falsi amici”.
La Croce è pesante “come la notte delle persone abbandonate”, “come la morte delle persone care”, perché “riassume tutta la bruttura del male”.
Eppure essa, ha proseguito il Papa, “è anche una Croce gloriosa come l’alba di una notte lunga, perché raffigura in tutto l’amore di Dio che è più grande delle nostre iniquità e dei nostri tradimenti”.
Nella Croce si fronteggiano “la mostruosità dell’uomo” e “l’immensità della misericordia di Dio”, che ci fa sentire “figli” e non “cose”, come affermava San Gregorio Nazanzieno in una sua preghiera citata dal Papa.
“O nostro Gesù guidaci dalla Croce alla Resurrezione e insegnaci che il male non avrà l’ultima parola, ma l’amore, la misericordia e il perdono”, ha proseguito il Pontefice.
“O Cristo, aiutaci a esclamare nuovamente: ‘Ieri ero crocifisso con Cristo; oggi sono glorificato con Lui. Ieri ero morto con Lui, oggi sono vivo con Lui. Ieri ero sepolto con Lui, oggi sono risuscitato con Lui’”, ha poi concluso.