“Agirà con la parola, intervenendo ogni volta che la pace è minacciata”, parola di Segretario di Stato. “Senza curarsi del rischio di venire strumentalizzato, e soprattutto indicando le cause della violenza e delle guerre”. Il cardinale Parolin parla di Papa Francesco, del suo impegno per la pace, ribadito nel messaggio Urbi et Orbi il giorno di Pasqua. “Lo farà – prosegue – testimoniando l’amore alla pace anche con la sua eventuale presenza, magari improvvisata, sui luoghi dei conflitti”. Già, perché il Papa ci ha abituato alle sorprese, in nome della coerenza della testimonianza del Vangelo. “Papa Francesco – prosegue il Segretario di Stato – seguirà la propria sensibilità e troverà anche in questo campo i gesti più efficaci e forse sorprendenti, per far sentire la sua presenza e la sua sollecitudine per la pace”.
Parla di Francesco, il cardinale Parolin, della sua azione, che lo ha portato immediatamente a giocare un ruolo-chiave, superando le incertezze e le contraddizioni delle cancellerie su alcuni dossier delicatissimi, a partire da quello siriano, su cui ha agito con la forza antichissima ma sempre nuova ed efficace della preghiera, che “di fatto, ha scosso anche i potenti della terra e coloro che non credono”.
Ma parlando di Francesco, dell’oggi e del prossimo futuro, traccia anche una precisa linea di continuità con i due grandi Papi Santi e più in generale con l’azione della santa Sede nel tormentato e drammatico ventesimo secolo.
In effetti, ciascuno con il proprio stile, nel quadro di situazioni storiche diverse, tanto Giovanni XXIII che Giovanni Paolo II sono stati due giganti della pace.
Ne hanno interpretato, in particolare in due fasi della guerra fredda, due strade, diverse e convergenti.
Quella di Giovanni XXIII apparentemente è stata più testimoniale, con l’inerme forza della parola, del convincimento, del magistero, dell’invito al dialogo, così in particolare da impedire che la guerra fredda diventasse cruenta. Quella di Giovanni Paolo II è stata più atletica, con lo storico risultato di determinare pacificamente la fine di un conflitto, la guerra fredda appunto e l’oppressione comunista, che durava da quasi cinquant’anni. Di più: il suo pellegrinare nel mondo – riprendendo il testimone di un altro grande Papa del secolo scorso, Paolo VI, primo pellegrino a Gerusalemme – è diventato segno concreto di vicinanza a tutti i popoli, per la pace, per l’affermazione di quella che chiamava la “soggettività” dei popoli e delle nazioni in una grande famiglia umana.
Con i suoi modi propri, “il linguaggio diretto e, diciamo “popolare” che ha sinora riscosso tanto successo” c’è qui il senso di una continuità che Francesco appunto traguarda verso i complessi orizzonti di un mondo globale, con le nuove insidie alla pace, la tratta, lo sfruttamento, le grandi ingiustizie sociali ed economiche. E così sempre “la Chiesa non si muove per tutelare i propri diritti o invocare privilegi per se, ma per difendere i diritti di ogni uomo e di ogni donna”.