Di Daniele Rocchi
Prove di disgelo? O semplice manovra elettorale in vista del voto presidenziale di agosto? Le parole del premier turco, Recep Tayyp Erdogan, che alla vigilia del 99° anniversario del Genocidio armeno (24 aprile), porge le sue “condoglianze” ai nipoti dell’oltre un milione di armeni sterminati dagli Ottomani nel 1915, rappresentano di certo una svolta: negli ultimi mesi sentimenti di rincrescimento erano già stati espressi dal capo dello Stato Abdullah Gul e dal ministro degli esteri Ahmet Davutoglu, ma è la prima volta che un premier turco si spinge fino alle “condoglianze”. Un gesto “storico” secondo alcuni quotidiani turchi ma che non impedisce al governo di Ankara di continuare a negare, come ha sempre fatto, che lo sterminio degli armeni fra il 1915 e il 1917 sia stato un “genocidio”. “Gli ultimi anni dell’Impero ottomano sono stati un periodo difficile, che ha causato sofferenze a milioni di cittadini ottomani, turchi, curdi, arabi, armeni e altri” ha affermato Erdogan, precisando però che “non avrebbe senso per le vittime stabilire una gerarchia delle sofferenze”.
Lacrime di coccodrillo… “La Turchia di Erdogan non si smentisce. Negazionista è, e negazionista rimane”: è la reazione del Consiglio per la comunità armena di Roma che bolla le parole del premier come “lacrime turche di coccodrillo”. Secondo gli armeni di Roma “una attenta lettura del testo evidenzia, accanto a qualche timida frase di circostanza, la consueta impostazione negazionista della Turchia. Che anzi esce rafforzata proprio dalle frasi del leader turco condite dai soliti distinguo e prese di circostanza”. Il messaggio di Erdogan, a parte le “condoglianze ai nipoti” degli armeni, “rafforza ancor di più l’antistorica posizione turca, cerca di mettere sullo stesso piano un milione e mezzo di armeni trucidati con alcune decine di migliaia di soldati turchi caduti nel corso delle avventate campagne militari dei generali ottomani; addita, inequivocabilmente, agli armeni la responsabilità se ancora oggi la questione del Grande Male non è risolta e getta nello stesso calderone della Grande Guerra un popolo sterminato dalla ferocia dei Giovani Turchi e tutti coloro che hanno perso la vita nel corso della guerra”. Il Consiglio per la comunità armena di Roma “rifiuta con fermezza ogni atto che non sia un pieno e formale riconoscimento di responsabilità per il genocidio del popolo armeno”. Per Robert Attarian responsabile dei Rapporti Istituzionali del Consiglio degli armeni di Roma, “se Erdogan si fosse limitato alle sole condoglianze forse avremmo potuto parlare di apertura, di inizio di una auspicata normalizzazione dei rapporti. Invece ha riaperto una ferita di 99 anni”. Nonostante ciò, sottolinea Attarian, “oggi la società civile turca appare più pronta ad ammettere le sue colpe, a differenza dei suoi politici. Per noi questo è importante, che la Turchia, con i suoi intellettuali, con la sua opinione pubblica cominci a fare i conti con il suo passato, doloroso. Spero, quindi, che questo gesto di Erdogan aiuti alla pacificazione”.
O un primo passo verso il dialogo? Più possibilista Pietro Kuciukian, Console onorario della Repubblica d’Armenia in Italia: “Possiamo considerarlo un primo passo verso il riconoscimento della realtà del genocidio perpetrato dal Governo dei Giovani Turchi? È l’interrogativo che tutti noi ci poniamo. Vorremmo guardare fiduciosi a un futuro di dialogo e di riconciliazione”. “Sicuramente le parole di Erdogan avranno avuto una spinta politica dovuta alle elezioni di agosto – spiega il Console – ma questo atto ci fa ben sperare per il futuro. Una dichiarazione del genere, infatti, potrebbe dare il via ad una serie di azioni di revisione storica. So, per esempio, di una sindaca di un villaggio nei pressi di Smirne che in una lettera ha chiesto perdono agli armeni. La strada da fare a livello storico è ancora lunga. Sono più di 70 anni che nelle scuole turche si insegna una certa visione dei fatti del 1915”. A far riemergere la storia, allora sono i figli dei sopravvissuti che in giornate come questa, in cui si ricorda il genocidio armeno, rafforzano il loro impegno al rispetto dei fatti. “Abbiamo perso i nostri cari e le nostre case, le scuole, i monumenti, le chiese, ma non l’amore per il nostro passato e il senso di appartenenza a un popolo che può ancora dare tanto al mondo – spiega Kuciukian – la nostra identità culturale ci ha preservati dall’annientamento totale. I carnefici, assieme alla vita, hanno tentato di toglierci le espressioni della nostra cultura, che significano vita e che sono per noi ragione di speranza. Il male inferto al nostro popolo è un male inferto a tutta l’umanità. Oggi rendiamo un servizio alla memoria e alla vita. Le pene non vanno coltivate in solitudine”.