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Papi, parole d’ordine aggiornamento e continuità

Di Bruno Cescon
Due Papi sugli altari: Roncalli e Wojtyla. Innovatori e insieme conservatori per poter inserire la Chiesa nella modernità, senza snaturarla, in un tempo di radicali trasformazioni. Aggiornamento e continuità diventano le parole d’ordine. Al suo pontificato Roncalli pone come orizzonte e fine il Vaticano II, cioè un Concilio, il più classico degli strumenti del rinnovamento ecclesiale. In un’epoca in ebollizione tocca ai vescovi trovare e indicare le soluzioni alle difficoltà, ma le soluzioni non vengono unicamente dall’uso dell’autorità, quanto dalla prassi della comunione. Al lungo regno di Giovanni Paolo II viene affidato dalla Provvidenza il compito di interpretare e applicare il Concilio con la sua liturgia, con i nuovi fermenti teologici ed ecclesiali.
Sono due pontefici diversi e simili. Non omogenei per carattere, per formazione e soprattutto per origine quanto capaci di parlare alle folle e di arrivare al cuore delle persone. Sono due grandi comunicatori. Celebre resta “il discorso della luna” di Papa Roncalli: “Tornando a casa, troverete i bambini. Date una carezza ai vostri bambini e dite: questa è la carezza del Papa”.
Papa Wojtyla ammalia le folle, riempie le piazze del mondo. Anzi pratica con naturalezza la nuova piazza dei media. Nel loro ambiente si trova a suo agio. Lo usa per incontrare i popoli, per benedire, per rimproverare, per stimolare, per correggere. Abita così bene il mondo virtuale perché prima di tutto sta con pienezza sulla terra tra gli uomini. L’abbraccio mediatico risulta un surplus, un di più. Quello vero è con la gente.
Nondimeno con Giovanni XXIII il Concilio Vaticano II diviene popolare, esce dalla basilica di San Pietro con suggestive immagini di una Chiesa non più solo europea. “Attenzionato” dai media, entra nel dibattito pubblico. Con Roncalli la Chiesa assurge a soggetto e argomento dell’opinione pubblica. Con Giovanni Paolo II straripa nei media il dibattito teologico, spesso imbrigliato nella logica conservatori e progressisti circa l’interpretazione del Concilio.
Sono due figure solide e coraggiose. Ma l’uno, Giovanni XXIII, si presenta dolce nei modi, l’altro, Wojtyla, si rivela capace di urlare il suo anatema ai mafiosi. Soprattutto ambedue sono coinvolti nei processi dell’ecumenismo e dialogo tra religioni e culture, della pace, della giustizia, della lotta alle povertà con le loro encicliche sociali e l’azione diplomatica per la pace.
Se Roncalli interviene nella crisi di Cuba e riceve la figlia di Kruscev, Giovanni Paolo II sferza e spezza il comunismo sovietico ma incontra Castro e va a Sarajevo. Sia Giovanni XXIII che Giovanni Paolo II contribuiscono a spogliare la Chiesa della ridondanza rinascimentale, della memoria di comportamenti da principi terreni. L’ultimo atto di Wojtyla è l’esposizione del suo corpo malato al mondo, fino a far seguire gli ultimi giorni della sua vita in diretta televisiva, mentre invece Giovanni XXIII muore “diplomaticamente sano”, perché l’ufficialità non conosce il coinvolgimento di popolo.
Aprono la Chiesa al mondo, divenuto un’unica aula globale. Giovanni Paolo II lo percorre in lungo e largo. L’uno e l’altro comprendono che la Chiesa deve misurarsi con la società della ragione, della tecno-scienza e con la postmodernità scettica e confusa. Roncalli è guidato da un ottimismo di fondo nei confronti del mondo. Giovanni Paolo II si inventa un papato itinerante, il giubileo del 2000, le giornate della Gioventù.
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