Di Luigi Crimella
Allo scoppio della crisi alla Lehman Brothers (Usa, 2008) e a cascata la diffusione del tracollo finanziario ed economico in gran parte dei Paesi industrializzati, il ritornello cui tutti ci siamo abituati è che ciò che era successo era “peggio del 1929” e che per uscirne ci sarebbero voluti anni e anni. A livello generalizzato abbiamo sperimentato cosa significhi la recessione: posti di lavoro che “saltano”, disponibilità economiche che si contraggono, aziende che chiudono, banche che non prestano quasi più a nessuno, case invendute, povertà crescente. Sappiamo quasi tutto anche delle “ricette” per uscire dalla crisi: austerità, “tagli”, stipendi ridotti, lavori a termine, precarietà, sacrifici, rinunce. È subentrata nel comportamento collettivo la vecchia saggezza popolare del “fare il passo secondo la gamba”, e oggi la gamba – finanziariamente parlando – per la maggior parte delle famiglie si è accorciata: quindi sobrietà, spese oculate, acquisti low-cost, rinvio di investimenti significativi. In attesa di tempi migliori. Ma – ecco la novità di questi giorni – qualcosa sta balenando all’orizzonte ancora cupo: sono le prime timide ma autorevoli voci che dicono: “Si vede la luce in fondo al tunnel”. Ormai parlano le agenzie di rating (Fitch, Standard & Poor’s), dicendo che stiamo iniziando a uscire dalla crisi, e se lo dicono loro, col potere di vaticinio che deriva dall’analizzare voci infinitesimali dei macro-dati economici globali, c’è da crederci. Ancora, sulle tracce della “ripresa”, ecco che oggi (28 aprile) arrivano in Italia altre due buone notizie: la prima viene dall’Istat, l’Istituto centrale di statistica, secondo il quale l’indice di fiducia dei consumatori avrebbe fatto un balzo di 4 punti (da 101,9 a 105,4). Altri indici, informa l’Istat, sono in miglioramento, a partire da quelli sulle attese per l’economia del Paese e sulla situazione economica delle famiglie. La seconda buona notizia viene invece dal Censis, il Centro studi romano guidato dal sociologo Giuseppe De Rita, secondo il quale gli italiani hanno riscoperto la “voglia di vivere”.
Basta catastrofismi: siamo a una svolta? Presentando oggi (28 aprile) una ricerca dal titolo “Una prospettiva di vigore per uscire dalla depressione”, realizzata in collaborazione con Eni, il responsabile delle politiche sociali del Censis, Francesco Maietta, ha notato che “l’austerity ha stancato gli italiani: sobri sì, asceti no”. Definizione lapidaria, supportata da considerazioni originali, nello stile-Censis cui siamo abituati. Anzitutto, ha detto Maietta, potremmo essere a una svolta rispetto alla “quotidiana rincorsa ai dati catastrofisti cui l’opinione pubblica si era quasi rassegnata”. I fattori di questo cambiamento di umore nel Paese risiedono in una pluralità di fattori, che stanno agendo contemporaneamente e si potrebbe dire congiuntamente. Primo di questi elementi è la scoperta dei “territori del vigore economico”, dove si registrano “indizi di ripresa economica” e dove nascono nuove imprese e nuova occupazione. Vale la pena citare i territori “vigorosi” secondo il Censis: Prato (dopo una crisi epocale, sembra oggi aver ritrovato nuove energie), Monza e Brianza (non solo Milano, in Lombardia, è sull’onda buona). Nei primi 20 posti della “classifica territoriale del vigore” ci sono 9 province del Centro (Prato, Livorno, nonostante la recente crisi dell’acciaieria di Piombino, Pisa, Firenze, Terni, Lucca, Arezzo, Viterbo, Ancona), 7 del Nord-Est (Trento, Bolzano, Pordenone, Gorizia, Belluno, Padova, Trieste), 3 del Nord-Ovest (Monza e Brianza, La Spezia, Milano), una del Sud (Pescara). Il Censis aggiunge che “nel 2013, anno peggiore della crisi, sono comunque nate 1.053 imprese al giorno a fronte di 1.018 che hanno chiuso” e che “di start-up innovative se ne contano circa 2mila: ne sono nate 4 nuove al giorno”.
Milano la “città più vitale”. Ancora il Censis ricorda quali siano “le città italiane del vigore”: Milano è la città che la maggior parte degli italiani (il 69%) considera la più vitale. Seguono, a distanza, Torino (22%) e Roma (14%). “Aspettando l’Expo del 2015 – afferma il rapporto -, e all’indomani del successo del Salone del mobile, la città meneghina sembra aver ritrovato il ritmo giusto”. La ricerca sottolinea che tra le protagoniste del “vigore” ci sono “le donne acrobate del multitasking”, con un numero crescente di lavoratrici che occupano posti di guida e direzione. Anche gli immigrati sono uno dei fattori di slancio economico: ben 380mila di loro sono imprenditori, in maggioranza alla guida di esercizi commerciali. Altro fattore di crescita è il recupero di uno stile di vita tutto italiano, quel “sobrio sì, asceta no” che è sempre stato un tratto caratteristico del nostro Paese, godereccio quel tanto che basta per collocare la qualità della nostra vita ai livelli più alti nel mondo. Il Censis conclude che c’è “voglia di vivere, altro che depressione”: si torna a fare “gite fuori porta”, ad avere “esuberanza” sia pure contenuta, ad essere orgogliosi di essere italiani. Un solo neo viene evidenziato: che sono tanti i giovani “pendolari globali”, cioè che vanno in Paesi esteri per trovare occupazione, con la segreta speranza di rientrare in patria, prima o poi (61%). Sono i “cervelli in fuga” che chissà se mai rientreranno, oppure i tanti giovani senza futuro delle Regioni del sud, che appena scavalcano le Alpi quasi tutti trovano (miracolosamente) lavoro, come i migranti di un secolo fa. Forse un sintomo che la crisi sarà davvero finita lo avremo quando diminuirà questa “fuga” dei giovani: allora il nostro Paese potrà dirsi salvo e in grado di crescere in maniera sana.