Di Maria Chiara Biagioni
Aumentano i poveri in Ucraina. Il governo ad interim che ha preso la guida del Paese dopo la caduta in febbraio del regime di Viktor Yanukovich, ha trovato le casse dello Stato completamente vuote e ora il Paese è alle prese con una difficile ricostruzione del bilancio che sta richiedendo alla popolazione un periodo di austerity con grandi sacrifici. Il prezzo della benzina è salito alle stelle e a cascata sono aumentati anche i beni di prima necessità. C’è chi ce la fa ad arrivare alla fine del mese. Chi no. Kharkiv, ore 11. La città si trova a pochi chilometri dal confine con la Russia: da settimane in questa regione ad est dell’Ucraina, le forze militari di Kiev si scontrano con i gruppi di separatisti. Nonostante il clima di tensione, a fianco della cattedrale cattolica della città c’è un via vai di gente: tre giorni alla settimana le Piccole missionarie della carità, le suore orionine, si dedicano alla medicazione dei poveri. Le patologie più comuni sono i geloni per il freddo e le bruciature che queste persone si procurano la notte avvicinandosi spesso ubriachi verso le fonti di calore. È la parrocchia di questa chiesa al centro della città a garantire il rifornimento necessario delle medicine. Qui le suore provvedono anche a organizzare una mensa che ogni giorno riesce a dare un pasto caldo a circa 100 persone; una casa di accoglienza per ragazze madri e un servizio mirato ai bambini di strada. “Le persone che si rivolgono a noi – dice suor Sabina – sono praticamente raddoppiate in questi ultimi mesi. Sono per lo più pensionati la cui pensione non basta a coprire le spese della casa. Pagato l’affitto, non rimane più nulla. Il povero è il nostro carisma. È rispondere alla pagina del Vangelo, ‘avevo fame, avevo sete e… Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”.
Le truppe russe schierate al confine. La povertà incalza, ignara delle notizie che giungono da tutta la regione e del clima di paura che si respira in questa città. È ancora in condizioni gravi il sindaco della città, Gennadiy Kernes – di origini ebraiche – dopo essere stato ferito alla schiena da un colpo di arma da fuoco sparato da ignoti. L’agguato è l’ultimo incidente violento nell’Est del Paese da quando Kiev ha lanciato la sua operazione “antiterrorismo” contro i separatisti filorussi. Kernes sarebbe stato colpito da un cecchino anche se le esatte circostanze e i motivi dell’agguato non sono chiari. Hanno dato sollievo – racconta donGrigoriy Semenkov, cancelliere della diocesi cattolica di Kahrkiv – le parole del ministro della Difesa russo Sergei Shoigu che ha dichiarato di aver ritirato le truppe di Mosca impegnate in manovre al confine con l’Ucraina. Quelle truppe russe schierate a soli 45 chilometri da Kahrkiv costringevano la popolazione a vivere costantemente sotto una “fortissima pressione psicologica”.
Chiesa, un messaggio di riconciliazione possibile. “Noi siamo e rimaniamo a fianco della nostra gente”. Parla così, con grande serenità, il vescovo cattolico di Kharkiv, monsignor Marian Buszek. Proprio in questa città, nel mese di marzo, i vescovi cattolici di tutta l’Ucraina hanno deciso di svolgere la loro assemblea plenaria. “Solo il vescovo ausiliare di Simferopoli, monsignor Jazek Pyl, non è riuscito ad arrivare per paura che se fosse uscito dalla Crimea non sarebbe più ritornato. Se lui rimane, anche noi dobbiamo rimanere con i nostri parrocchiani”. Al vescovo in questi giorni sono arrivate molte telefonate: “I fedeli mi chiedono come dobbiamo reagire. Chiedono se non sia il caso di fermare il catechismo o cambiare gli orari delle messe. Ma abbiamo deciso di andare avanti normalmente e chi non ha paura, può sempre venire”. Domenica scorsa alla curia di Kharkiv, i fedeli si sono dati appuntamento per vedere in diretta tv la canonizzazione di Giovanni Paolo II e Giovanni XXIII. E a Pasqua i due vescovi cattolico e ortodosso (del Patriarcato di Kiev) hanno partecipato alle rispettive liturgie in spirito ecumenico. “La Chiesa – dice mons. Buszek – è aperta a tutti i credenti a prescindere dalla nazionalità. Nelle nostre Chiese le Messe vengono celebrate in russo, polacco, ucraino. Questo è il messaggio di riconciliazione che possiamo dare come cristiani: testimoniare con la nostra vita che le lingue e le diversità non possono essere causa per scatenare una guerra. Questa Chiesa riconciliata può dire all’Ucraina di oggi che, pur nella diversità di lingua, tutti hanno un posto nella loro casa comune”. Il vescovo lancia un doppio appello. Il primo ai credenti perché preghino per la pace e l’unità in Ucraina: “La gente è spaventata e noi cristiani dobbiamo testimoniare che se Cristo ha vinto la morte, può vincere anche nei nostri cuori e ripetere in questa situazione, ‘non abbiate paura’”. L’altro appello del vescovo si rivolge alla comunità internazionale. “Non fa niente – afferma – o fa troppo poco. Guarda e sta aspettando. Fino a che non succede ciò che è accaduto in Crimea”.