Fin qui la cronaca. Ma nessuna parola umana è in grado di descrivere adeguatamente l’instancabile impegno degli “apostoli della pace” dei nostri giorni, che pagano prezzi altissimi semplicemente per il fatto di prendere posizione. Mai per la guerra e la violenza, sempre per il dialogo e la riconciliazione. Sempre a favore dell’uomo, e mai per tutte le caricature che ne deformano le sembianze fino ad arrivare ad annientarlo. Trentadue parole, centosessantotto caratteri. Un appello essenziale, sobrio, riservato, asciutto, che i lettori del Sir e dei settimanali cattolici si sentono di condividere, e lo fanno con fermezza e con slancio, in tutta la sua drammatica attualità e urgenza. Ricordando, insieme a padre Dall’Oglio, anche i due missionari vicentini rapiti in Camerun all’inizio del mese, Gianantonio Allegri e Giampaolo Marta, e i religiosi e le religiose che hanno subito la stessa sorte in Iran, Iraq e in molte altre parti del mondo. “Penso a padre Paolo”, aveva detto Papa Francesco il 31 luglio scorso, due giorni dopo che si erano perse le tracce del suo confratello. E nell’udienza del 9 aprile, Francesco ha citato il nome di un gesuita che ha perso la vita in Siria, padre Freans van der Lugt, per ripetere il grido di dolore – “Basta violenza in Siria!” – che aveva caratterizzato la giornata di preghiera del 7 settembre scorso, in piazza San Pietro. “Nel silenzio della Croce tace il fragore delle armi e parla il linguaggio della riconciliazione, del perdono, del dialogo, della pace”, il grido sussurrato del Papa. Perché la violenza, e la guerra, non portano mai in quella direzione.