La complessa macchina assembleare è giunta al dunque: dal 30 aprile al 3 maggio l’Azione cattolica italiana celebra la sua quindicesima assise elettiva a Roma, avendo alle spalle quasi 6mila assemblee parrocchiali e 216 diocesane, durante le quali sono state rinnovate le cariche interne in rappresentanza di oltre 300mila associati in tutte le regioni della Penisola. Sono invece mezzo milione le persone che prendono parte alle iniziative di formazione, spirituali e di volontariato sociale promosse nel corso dell’anno. Il tema dell’appuntamento romano – che giunge ogni tre anni e che porterà al voto del nuovo Consiglio nazionale e, in seguito, alla futura presidenza – è “Persone nuove in Cristo Gesù. Corresponsabili della gioia di vivere”. Il momento-clou sarà l’incontro con Papa Francesco, il 3 maggio, nell’aula “Paolo VI” in Vaticano, per il quale sono stati mobilitati i presidenti e gli assistenti ecclesiastici parrocchiali e diocesani. Negli ultimi due trienni alla guida dell’Ac è stato Franco Miano, 53 anni, sposato, due figli, ordinario di Filosofia morale all’Università Tor Vergata a Roma, iscritto all’associazione da quando – lo dice con orgoglio – aveva 9 anni.
Professore, sei anni intensi con la massima responsabilità dell’Azione cattolica italiana. Quali sono stati i momenti più belli che ha vissuto da presidente? E quelli difficili?
“Devo dire la verità. I momenti difficili, o quanto meno particolarmente impegnativi, non sono mancati. Ma i ricordi più vividi, intensi, che certamente mi restano dentro, sono quelli innumerevoli, belli e gioiosi che l’Ac mi ha regalato ogni giorno. Penso agli incontri nelle parrocchie e nelle diocesi in tutta Italia, dalle grandi città ai paesi più piccoli, dal nord al sud, con gli iscritti e gli amici che ti incoraggiano, che danno consigli, che offrono la propria disponibilità generosa per l’associazione e per la Chiesa tutta. E poi così, senza un ordine preciso, mi viene in mente Roma invasa da 150mila ragazzi e giovanissimi di Ac, il 30 ottobre 2010, per l’incontro intitolato ‘C’è di più’, abbracciando Papa Benedetto XVI. E, ancora, le celebrazioni, nel 2012, per il 50° dell’apertura del Concilio, che rimane un punto fermo per la nostra associazione, una guida costante. E la partecipazione al recente Sinodo, la beatificazione di Giuseppe Toniolo, le trasferte con il Fiac, il Forum internazionale dell’Ac, che si sta radicando nei cinque continenti…”.
Sono numerose le parole-chiave di questi ultimi anni per l’Azione cattolica. Basti pensare alla sfida educativa, alla corresponsabilità – tema del suo nuovo libro -, alla “popolarità”, al “bene comune”. Su quali di questi temi si gioca il futuro dell’associazione?
“L’Ac è impegnata statutariamente nella stessa missione evangelizzatrice della Chiesa. Per questo la corresponsabilità, l’impegno all’educazione umana e cristiana, l’appartenenza viva e attiva alla comunità locale, la maturazione di vocazioni all’impegno socio-politico segnano la vita associativa, peraltro non esente da fatiche, ritardi, persino incoerenze. Eppure la caratteristica di laicato democraticamente organizzato, che cerca di formarsi e di porsi al servizio del Vangelo, corrisponde al Dna dell’Ac e appare quanto mai attuale entro i nuovi contesti culturali, etici e sociali di questa epoca. Se però dovessi citare in particolare un termine che mi pare possa oggi fare oltremodo la differenza in una Chiesa ‘in uscita’, come quella che ci indica con amore paterno Papa Francesco, ebbene allora ricorderei la popolarità. Il messaggio cristiano è di tutti e per tutti, nessuno dovrebbe sentirsi escluso dalla Chiesa, nessuno dovrebbe restare solo per le strade del mondo. Lì si intravvedono le nuove frontiere della missione cristiana”.
Il suo mandato si è svolto accanto a due Pontefici: Benedetto XVI e Francesco. Una caratteristica per ciascuno dei due Papi che l’ha particolarmente colpita?
“Per quanto riguarda Papa Benedetto direi, fra gli innumerevoli insegnamenti, l’indicazione di una fede pensata, se così si può dire, che si vive nel più profondo del cuore ma che al contempo ricerca la relazione stretta esistente tra ragione e credo, una ragione che sappia ricomprendere la fede. Papa Francesco dal canto suo ci sta richiamando a una fede capace di sorridere, di abbracciare ogni donna e ogni uomo che incontriamo nel cammino della vita. È quella Chiesa in uscita di cui parlavamo prima, è la cultura dell’incontro, tra Dio e uomo, tra gli uomini, tra le religioni, tra le culture. E poi Papa Bergoglio ci richiama con forza, senza sconti, a una rinnovata e irrinunciabile attenzione ai poveri, la prova di una fede che porta a Dio attraverso i fratelli, tutti i fratelli”.
“Una Chiesa missionaria non può che essere una Chiesa laicale”, ha affermato monsignor Mansueto Bianchi, neo assistente generale di Ac, nella sua prima intervista rilasciata proprio al Sir. Ma il laicato è pronto a un ruolo “da protagonista” nella comunità cristiana e nella “polis”, secondo gli insegnamenti conciliari?
“Io vedo tante belle esperienze di laici impegnati, secondo lo spirito evangelico, nella costruzione della comunità cristiana e nell’edificazione della città dell’uomo. Mi rendo altrettanto conto che resta sempre del cammino da compiere, ad esempio sul versante della formazione. E occorre superare, come ci ha ricordato più volte il Santo Padre, quelle forme di clericalismo laicale che non sono utili né alla testimonianza credente né alla storia umana. Gli insegnamenti conciliari devono costituire la bussola del nostro procedere e io credo che l’Ac abbia molto da dare in questa direzione”.