Le strade del Sudafrica sono colorate di giallo, nero e verde: i colori dell’African National Congress (Anc), sicuro vincitore delle elezioni generali del prossimo 7 maggio, che segnano il ventennale della democrazia nel Paese. I sondaggi assegnano allo storico movimento di liberazione dall’apartheid circa il 63% dei voti, ma sono soprattutto gli umori della gente comune a far capire che non ci saranno sorprese: anche molti di quelli che criticano il presidente in carica, Jacob Zuma, da anni al centro delle polemiche, confessano che questo non basta a far cambiare loro idea, e annunciano che anche quest’anno il loro voto andrà a lui.
Il peso della storia. Per i sudafricani, “l’Anc è e sarà sempre il partito della liberazione, che ha portato il Sudafrica fuori dall’apartheid, resistendo quando era letteralmente sotto assedio; è il partito di Mandela e degli altri grandi leader del passato”, spiega padre Mariano Perez, missionario comboniano che vive a Johannesburg, e anche per questo alla gente “non importa quanti errori” facciano i capi. La tradizione di lotta democratica fa parte del bagaglio dei sudafricani di ogni generazione: “Questo ragazzo non ha vissuto l’apartheid, ma io, suo padre, sì”, dice Martin, un abitante della provincia mineraria del Nord Ovest, riferendosi al figlio diciannovenne. Proprio i “nati liberi”, che non hanno conosciuto la segregazione razziale, erano la grande incognita di queste elezioni, ma il fascino del partito dominante sembra fare ancora presa su molti di loro. “Quello che i giovani sentono, leggono o vedono è l’Anc; nessuno può assolutamente sognare di sconfiggerlo in questo momento, che piaccia o no”, chiarisce ancora padre Perez. Anche le campagne che invitano a non votare piuttosto che scegliere di nuovo Zuma sembrano avere scarso successo: “Il voto è un diritto che ci siamo conquistati”, è la risposta più diffusa, e pochi sembrano pensarla come la compagna ventiduenne di un altro minatore, che confessa: “Secondo me votare non cambia nulla”.
L’opposizione. Recuperare terreno tra gli elettori sfiduciati, però, è fondamentale sia per il governo, che punta alla maggioranza dei due terzi per poter modificare la Costituzione, sia per l’opposizione, che spera di invertire la tendenza a livello locale. Nonostante l’enorme distacco attribuitogli dai sondaggi (è circa al 23%), il partito di riferimento della minoranza bianca, la Democratic Alliance (Da), ha messo in piedi una campagna elettorale battagliera. L’obiettivo principale è conquistare, dopo la provincia del Capo Occidentale, dove si trova Cape Town, anche il Gauteng, l’area di Johannesburg e Pretoria, la più ricca del Sudafrica. Per farlo il movimento, guidato da Helen Zille, ha schierato come candidato premier locale il 35enne nero Mmusi Maimane, soprannominato da alcuni “l’Obama di Soweto”. Una retorica decisamente più incendiaria è quella di Julius Malema, 34 anni, ex leader giovanile dell’Anc, che pochi mesi fa ha dato vita agli Economic freedom fighters, i “combattenti per la libertà economica”: il suo manifesto prevede, tra l’altro, nazionalizzazioni delle terre e delle miniere.
Corruzione e lavoro i grandi temi. La forza di Malema – che nei sondaggi è dato al terzo posto con il 4,7% – sta anche nel rivolgersi ai senza lavoro con parole più forti di quelle della Da: la disoccupazione è ufficialmente al 25% e “chiunque riuscirà a prendere impegni concreti su questo tema guadagnerà voti, perché i giovani cercano disperatamente un’occupazione, troppi finiscono l’università senza poter ottenere un posto degno di questo nome”, giudica padre Perez. Un altro tema chiave, secondo il missionario, sarà quello della corruzione, sul tavolo da 20 anni: “È una battaglia che i politici stanno perdendo”, prosegue il comboniano. Forse proprio per questo il governo fa campagna anche nel nome di Mandela: “Fatelo per Madiba” è un’altra delle frasi sui manifesti elettorali, nonostante queste siano le prime elezioni che si tengono dopo la morte del premio Nobel per la pace. “Mandela – nota però padre Perez – è vivo e presente nelle menti delle persone, nelle loro esistenze e nella loro coscienza civica. “La sua autorità morale – conclude il religioso – dura ancora, sebbene vi sia un’enorme differenza tra gli standard etici che lui incarnava e la scarsissima autorità morale dei politici sudafricani di oggi”.