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Ucraina, quanto cinismo! Il tempo sta per scadere

Di Stefano Costalli
Continua la lenta ma inesorabile discesa dell’Ucraina verso la guerra civile. Ormai si è passati dagli scontri virtuali tra truppe russe e ucraine in Crimea alle sparatorie e ai caduti reali nell’Est del Paese. I separatisti filo-russi alzano l’asticella per spingere il governo di Kiev alla prova di forza e sembra che quest’ultimo abbia deciso di non tirarsi indietro. Questa politica ha già lasciato sul terreno decine di vittime e a meno di una repentina inversione di marcia, porterà il Paese a quel caos che gli analisti paventano da settimane. Al momento i separatisti dell’est non dispongono di risorse militari e organizzative sufficienti per dar vita a una vera e propria guerra civile, così come non possono contare su un appoggio sufficientemente solido e determinato della popolazione. Tuttavia, come insegna la guerra civile siriana e prima di essa tante situazioni simili, le armi possono arrivare facilmente dall’estero, soprattutto se si può contare su protettori potenti e vicini. Per quanto riguarda il sostegno della popolazione di riferimento invece, esso può essere conquistato nel tempo, a patto che si possano mostrare un numero sufficiente di vittime civili causate dalla controparte. In situazioni come queste il cinismo paga e nella questione ucraina non sembra mancare.
La soluzione migliore per risolvere crisi politiche ancora non del tutto militarizzate è sempre un accordo diretto fra i contendenti, che sono i migliori conoscitori della situazione sul campo, con la sua storia, gli interessi e i rapporti di forza reciproci. In Ucraina, però, il tempo per questo tipo di approccio potrebbe essere ormai scaduto e un serio intervento diplomatico internazionale si rende sempre più indispensabile. Il problema è che ogni intervento internazionale porta con sé gli interessi, spesso malcelati, delle potenze esterne. Lo si è ben visto nel corso delle settimane con l’atteggiamento della Russia, che alterna dichiarazioni in cui si sostiene la necessità di lasciare agli ucraini la libertà di decidere sul proprio destino ad altre in cui si sollecita un intervento Onu; dichiarazioni in cui Mosca si propone come garante dei separatisti ad altre in cui dichiara di non poter esercitare su di loro alcun controllo. Conoscendo il modo di procedere dei russi in materia politico-militare, si capisce bene che non si tratta di confusione, bensì di una strategia ben definita.
Come avevamo anticipato tempo fa, c’è chi inizia a parlare di un intervento di peacekeeping sotto l’egida delle Nazioni Unite. Si tratterebbe di un’operazione impegnativa e delicata, soprattutto dal punto di vista politico, ma l’Osce non sembra in grado di gestire la situazione, anche se il presidente di turno dell’Organizzazione incontrerà nuovamente Putin in settimana a Mosca. Uno schieramento ingente di caschi blu potrebbe aiutare a riportare la calma, ma dovrebbe avvenire prima che il conflitto deflagri con tutta la sua potenza. Inoltre, sarebbe necessario sciogliere due nodi fondamentali: prima di tutto, l’eventuale presenza di un contingente russo e il suo ruolo. In secondo luogo, il destino dell’Ucraina orientale. Una cosa è schierare le truppe per garantire un processo di pacificazione e di riscrittura della carta costituzionale di un unico Paese, un’altra cosa è schierare truppe internazionali per pacificare il confine fra due paesi diversi, ancorché in fieri. C’è ancora tempo per ragionare, ma è sempre meno. Mosca continua a essere l’interlocutore indispensabile per risolvere la crisi, ma qualcuno ha seriamente intenzione di risolverla?
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