Di Giovanna Pasqualin Traversa
Nel 2016 scadrà la convenzione con la quale lo Stato riconosce alla Rai il compito esclusivo di svolgere servizio pubblico, e in vista del rinnovo della concessione il mondo cattolico rilancia il dibattito su questo tema cruciale per la comunicazione. servizio. A dare il via al processo di riflessione è stato l’incontro promosso ieri sera a Roma, nella sede de La Civiltà Cattolica, dalla storica rivista dei gesuiti e dall’Unione cattolica stampa italiana. “Anche noi”, ha esordito padre Antonio Spadaro, direttore de La Civiltà Cattolica, inaugurando la tavola rotonda “La Rai dei cittadini. Il servizio pubblico per la qualità della comunicazione”, vogliamo “discutere sulle condizioni e sui criteri della convenzione. Lo facciamo nello stile di questo Pontificato in cui per noi è più importante far nascere nuovi processi umani che conquistare spazi”.
No a “sindrome dell’imbarazzo”. Padre Spadaro si è quindi soffermato sull’evoluzione del concetto di informazione, che da “broadcasting” sta diventando sempre più “sharing”, mentre sta sfumando la figura del semplice “utente”. Necessaria “una conversione radicale” verso “una convergenza dei media”, per cui il flusso dei contenuti “avvenga in maniera integrata, interattiva, partecipativa su più piattaforme”. Per la Rai, ha concluso, è forse tempo, sull’esempio della Bbc, di porsi “al centro di una fase approfondita di riflessione pubblica sul proprio futuro”. Da monsignor Nunzio Galantino, segretario generale della Cei, l’invito ai cattolici a scrollarsi di dosso “una sorta di ‘sindrome dell’imbarazzo’, che troppo spesso sembra aver catturato alcune fasce del mondo credente e che porta ad avallare la dissociazione tra fede e cultura”. Il presule ha messo in guardia dal “pericolo” di un “eccessivo lobbismo intorno agli argomenti”. Occorre, ha ammonito, “dare a tutti la possibilità di dire le proprie ragioni su ogni argomento”. La comunicazione “rimane una sfida essenzialmente umana”, e se non spetta alla Chiesa “suggerire come vada gestita la Rai”, essa può tuttavia “ricordare che nel nostro Paese c’è ancora bisogno di un servizio pubblico” in grado di “stimolare l’ambiente comunicativo, elevando la qualità dei modelli culturali offerti”. Di qui la raccomandazione di pensare ai giovani, facendosi carico della “trasmissione di un sistema credibile di valori che possa essere” da loro “intercettato e fatto proprio”, e l’invito ai cattolici a “riscoprire una presenza di lievito”.
Baluardo della civiltà italiana. “Essere sulla frontiera della tecnologia, puntare alla qualità e varietà dell’offerta, essere efficienti, efficaci, solidi e trasparenti”. Queste, per Anna Maria Tarantola, presidente della Rai, le caratteristiche che dovrebbero avere i servizi pubblici. A leggere il suo messaggio inviato all’incontro è stato il giornalista Massimo Bernardini, moderatore della tavola rotonda. Per Luigi Gubitosi, direttore generale Rai, “Se la Rai dovesse avere un sottotitolo, questo dovrebbe essere ‘ultimo baluardo della civiltà italiana’”. “Dobbiamo continuare – ha esortato – a spingere sulla cultura, perché è la nostra principale missione”. Nel richiamare il successo di “Braccialetti rossi”, Gubitosi ha sottolineato l’importanza di “far passare ai giovani messaggi positivi”. L’azienda “è attrezzata sul fronte della tecnologia, ma saranno i valori a portarci nel 2016”.
Parlare a tutti i cittadini. “Il servizio pubblico deve restare al centro della comunicazione”, ha sostenuto il presidente dell’Ucsi, Andrea Melodia, secondo il quale la Rai “deve diventare una media company” per “presidiare il sistema comunicativo garantendone qualità e diffusione universale”. Qualità che è “utilità sociale; capacità di contrastare le emergenze educative; dialogo interculturale, interreligioso e intergenerazionale”; lotta al “divide”; stimolo all’innovazione, “capacità di mantenere valori nel tempo”. Secondo Melodia, occorre salvaguardare la televisione generalista che “può essere la vera leva della coesione sociale”, e il servizio pubblico deve “parlare a tutti i cittadini”, ma per questo la Rai ha bisogno di “un’operazione editoriale complessiva e coordinata”.
Crescita e utili sociali. Sulla stessa linea Giuseppe Roma, direttore del Censis: “Più che l’idea di un servizio pubblico, è importante l’idea di un grande patrimonio comune a tutti gli italiani”. Richiamando la riflessione di mons. Galantino, Roma ha osservato: “Il mondo dei giovani non è facile da ‘convertire’ ma non lo ritengo impossibile” a condizione di “lavorare sul territorio”. Quanto alla Rai, è necessaria “qualche operazione di bonifica interna”. Per Vittorio Di Trapani, segretario dell’Usigrai, l’azienda “non deve produrre utili economici, ma utili sociali”. Fondamentale “l’accountability, la capacità di rendere conto ed essere in relazione”. Un tema sollevato da diversi relatori è stato la riforma del canone e l’ipotesi di legarlo alla capacità di spesa dei cittadini. “Dobbiamo fare una riforma” ha concluso il sottosegretario del ministero dello Sviluppo economico, Antonello Giacomelli, “che instauri un rapporto positivo con la tassa, garantisca equità ed elimini il dato imbarazzante dell’evasione”.