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Siria

Di Daniele Rocchi
Un concerto improvvisato in strada per inneggiare alla pace e alla libertà. È accaduto l’altra sera, nella stazione di Saint Lazare a Parigi, nel giorno del ritorno di Homs nelle mani dell’esercito del presidente Bashar al Assad, e della progressiva ritirata dei ribelli di quella che un tempo poteva essere considerata la terza città siriana e centro industriale del Paese. A dedicarlo alle centinaia di migliaia di profughi e sfollati siriani, alle 150mila vittime della guerra, è stato Malek Jandali, pianista siro-americano, originario proprio di Homs. Le note si sono alzate dalla stazione Saint Lazare di Parigi, grazie a un pianoforte pubblico, a disposizione di chiunque abbia voglia di suonare. “Le mie canzoni sono le mie armi – ha affermato l’artista -. Oggi qui è risuonata la voce dei bambini siriani liberi e io ne sono orgoglioso, la prima partitura musicale al mondo inventata dai miei avi siriani e oggi risuona tra le mura di Parigi, la città simbolo di libertà e democrazia e noi siamo qui, per strada”.
“Aiutateci a dialogare”. Chissà se, sulle note di Malek dedicate ad Homs, non si sia aperto un nuovo – e speriamo finalmente positivo – capitolo nella guerra civile siriana. L’80% dei miliziani ribelli ha, infatti, lasciato la Città Vecchia di Homs, che occupavano da due anni, dopo la sigla di un accordo, raggiunto grazie alla mediazione dell’ambasciatore iraniano a Damasco e appoggiato dall’Onu, con l’esercito siriano, come detto dal governatore della provincia di Homs, Talal al-Barazi. Con il ritiro dalla Città Vecchia ai ribelli resta ora solo il quartiere periferico di Waer, che un ulteriore accordo potrebbe consegnare alle forze regolari di Damasco. “Si tratta di un fatto molto positivo – è il commento da Aleppo, altra città martire della Siria, dell’amministratore apostolico, il francescano Georges Abou Khazen – che dimostra come il dialogo sia davvero l’unico strumento per porre fine al fiume di sangue che sta bagnando la nostra terra. Questa notizia è stata accolta con entusiasmo dalla popolazione. Potrebbe essere l’inizio di un cambiamento”. “Aiutate i siriani a parlare tra di loro e non a uccidersi – è l’appello – purtroppo il rumore delle armi, fornite da tante potenze straniere, copre ogni parola di confronto e di pace. Spero che quanto accaduto ad Homs possa ripetersi in altre città, come qui ad Aleppo dove bombe e razzi, ancora ieri, hanno distrutto alcuni edifici storici, patrimonio dell’Unesco, situati vicino alla Cittadella. Le armi stanno azzerando un patrimonio millenario di convivenza”.
Vittoria o sconfitta? Se ad Aleppo cadono bombe ad Homs l’assedio, durato due anni, è finito. Almeno 2mila i morti tra cui il gesuita Frans Van der Lugt, ucciso il 7 aprile scorso sull’uscio di casa. Davanti a queste cifre è lecito parlare di grande vittoria per il Governo e di grave sconfitta per i ribelli? Difficile dirlo nel complicato scacchiere siriano in cui le fazioni ribelli sono divise tra loro al punto di combattersi. Una cosa è certa: la portata della caduta di Homs è notevole sia in termini strategici sia politici. Per la sua posizione geografica, innanzitutto, dal momento che si trova lungo la strada che da Damasco porta sulla costa occidentale dove vivono gli alawiti, la setta religiosa a cui appartiene il presidente Assad. Politicamente, poi, è di grande significato perché Homs è considerata la “capitale della rivoluzione” del 2011. I suoi abitanti sono stati tra i primi a organizzare le manifestazioni anti-governative. A meno di un mese dal voto presidenziale del 3 giugno la sua riconquista segna un punto a favore del presidente Assad che gli analisti danno per sicuro vincitore alle urne. L’evacuazione di Homs va ad aggiungersi a una lunga serie di vittorie militari conseguite dall’esercito regolare. Tra queste una delle più importanti è la riconquista di Qusayr poco meno di un anno fa, resa possibile dalla discesa in campo degli alleati libanesi Hezbollah a fianco dell’esercito siriano che da allora ha ripreso il controllo delle zone montagnose a nord-ovest della Capitale, proprio in direzione di Homs. Nel vuoto diplomatico internazionale il presidente Assad, che tutti i suoi nemici davano per sconfitto al momento dello scoppio delle proteste popolari, resta in sella. Le note di pace del pianista della stazione Saint Lazarre di Parigi, arrivano ancora troppo deboli nella Siria di oggi.