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Torna a splendere la biblioteca di Sarajevo 22 anni dopo il rogo

Di Daniele Rocchi

“S’alzano i roghi al cielo, s’alzano i roghi in cupe vampe… Di colpo si fa notte, s’incunea crudo il freddo, la città trema, livida trema, brucia la biblioteca i libri scritti e ricopiati a mano…”. Non c’è giorno migliore, forse, per riascoltare “Cupe Vampe”, brano dei Csi, Consorzio Suonatori Indipendenti, che racconta il bombardamento e l’incendio, nella notte tra il 25 e il 26 agosto 1992, della biblioteca di Sarajevo, Vijecnica, ad opera dei serbo-bosniaci che assediavano la città e che l’avrebbero tenuta sotto il fuoco fino al 29 febbraio del 1996. La catena umana che si formò spontaneamente per cercare di salvarla dalle fiamme fu costretta a soccombere a causa dei cecchini che non si facevano scrupolo di colpire chiunque si avvicinasse. Così in trenta ore bruciarono centinaia di migliaia di preziosi libri, incunaboli, volumi, mappe, ovvero tutta la memoria storica di una città da secoli multietnica, luogo di incontro di popoli e culture. La Vijecnica era il simbolo più alto di quella convivenza e per questo andava distrutta. Oggi, a distanza di ventidue anni, l’edificio completamente restaurato è stato riaperto e riconsegnato alla città. Oggi, giorno in cui l’Europa, quella stessa Europa che rimase troppo a lungo inerte davanti al dramma dell’assedio, festeggia la sua Festa che coincide con l’anniversario della Dichiarazione Schuman (Parigi, 9 maggio 1950) in cui l’allora ministro degli Esteri francese da cui prende il nome, propose di creare una nuova forma di cooperazione politica che avrebbe promosso la pace tra le nazioni europee.

L’edificio in stile neo-moresco 
era stato costruito nel 1892-94 durante l’epoca austro-ungarica e, all’epoca, ospitava il Municipio. Solo dopo la Seconda Guerra Mondiale divenne “biblioteca nazionale e universitaria della Bosnia Erzegovina”. La Vijecnica si trova al centro della città, davanti le scorre placido il fiume Miljacka. Nelle sue mura era custodita, tra le altre cose, l’Haggadah di Sarajevo, il più antico documento ebraico d’Europa, portato dagli ebrei sefarditi cacciati dalla Spagna. Fu per questo motivo che, all’inizio della guerra (1992) l’opera fu nascosta nel caveau della banca nazionale di Bosnia, e così sopravvisse alle fiamme. Non era la prima volta che scampava alla distruzione: già nel 1941 i nazisti cercarono di impadronirsene e a salvarla fu il bibliotecario albanese di fede musulmana, Dervis Korkut che la fece custodire – cosi si racconta – da un imam di un villaggio della Bosnia rurale. Oggi Korkut è un “Giusto di Israele” ed è grazie a lui che il manoscritto sopravvisse a tempi in cui sei milioni di ebrei non ebbero la stessa fortuna.

Nel giorno della festa d’Europa
 la biblioteca si è tolta di dosso le pesanti impalcature e le sue splendide mura possono tornare a guardare la Bascarsija, il bazar, il quartiere dei cristiani, Latinluk e quello di Bistrik. Tutto intorno è un fiorire di minareti, moschee, chiese e la sinagoga ashkenazita degli ebrei rimasti, biblioteche e negozi. A dividerli solo stretti vicoli. Sono ancora vivi i ricordi dell’assedio quando a difendere la città furono tutti i suoi abitanti, di ogni fede ed etnia, non solo con le armi ma anche con la cultura, l’arte e la musica come le testimonianze di quei giorni riportano. Sarajevo oggi si riappropria di un pezzo della sua storia e del suo patrimonio culturale e umano che deve essere ricostruito e riunificato. La Vijecnica si riprende la sua funzione di biblioteca universitaria ed anche quella di sede di rappresentanza della città. Scompaiono pian piano i segni esteriori della guerra ma restano quelli, più profondi, negli animi dei bosniaci. Ci sono voluti 18 anni di lavori – e 16 milioni di euro, metà dei quali erogati dall’Unione europea – per riportare al suo antico splendore la biblioteca. Quanti ce ne vorranno ancora per ricomporre il cuore della Bosnia? Gli accordi di pace di Dayton del 1995 hanno decretato la divisione su base etnica del Paese, cancellando, come il fuoco nella Vijecnica, un tesoro secolare di convivenza. Ma nonostante ciò Sarajevo resta un monito per tutta l’Europa contro gli integralismi ed i nazionalismi, un simbolo contro le chiusure identitarie che sempre più con vigore stanno riemergendo nel Vecchio Continente, segnato da una crisi di valori oltre che economica e finanziaria. Non è un caso, allora, che il primo grande evento ospitato in questo luogo simbolo di Sarajevo sarà una cerimonia che si svolgerà il 28 giugno, nel centenario dell’assassinio dell’erede al trono austroungarico Francesco Ferdinando, che innescò la Prima Guerra Mondiale. Ancora una volta di più, oggi, Sarajevo si conferma la Gerusalemme d’Europa.