Di Davide Maggiore
In Sudafrica, Nelson Mandela è ovunque: a sei mesi dalla morte sembra accompagnare ancora i suoi concittadini nella vita quotidiana: il suo volto è sulle banconote, nei musei, negli edifici pubblici e nella propaganda dei partiti politici, ma anche nei cartelloni che promuovono iniziative benefiche e persino prodotti di consumo. Pochi giorni dopo le grandi celebrazioni del ventennale delle prime elezioni democratiche nel Paese, quelle del 27 aprile 1994, e nell’anniversario del suo insediamento alla presidenza, avvenuto il 10 maggio dello stesso anno, ‘Madiba’, come veniva familiarmente chiamato, è ancora il simbolo indiscusso del ‘nuovo Sudafrica’.
L’eredità di Madiba. Sotto la superficie della celebrazione perpetua, però, secondo alcuni, c’è una realtà più complessa: “Molti si stanno abituando al fatto che Mandela non sia più con noi”, spiega ad esempio padre Anthony Egan, sacerdote gesuita e docente universitario, figura tra le più note della Chiesa cattolica locale. Questo, a suo parere, significa anche che la sua eredità morale si sta in qualche modo spegnendo: “La gente parla di Mandela, ma – si chiede il religioso – prende la sua figura come esempio di come i politici dovrebbero comportarsi? Temo che la risposta sia chiaramente no, anche se è triste dirlo”, conclude. “La domanda da farsi – chiarisce il religioso – sarebbe ‘’Da che parte starebbe oggi Mandela?’ in una situazione in cui la corruzione cresce, anche in larghi settori dell’African National Congress”, il partito che fu suo e che è stato riconfermato al governo proprio in questi giorni, con una percentuale vicina al 63%. Più ottimista è padre Jeremias Dos Santos Martins, superiore dei missionari comboniani nel Paese: “Mandela – dice – continua a vivere nella mente della gente” almeno come “un’icona della libertà dell’essere umano e della dignità dei sudafricani” e continua “ad essere un punto di riferimento”. La sua figura, prosegue il missionario è quella “di un giusto che non si è lasciato corrompere dal potere e dal denaro, ma ha lottato per una causa giusta” e questo è qualcosa che in ogni caso “la gente porta nel cuore”.
Esempio per i giovani. Che Mandela sia un simbolo anche per chi quasi non lo ha conosciuto, è fuori di dubbio. Basta ascoltare, ad esempio, Wellcome, ventenne nero che frequenta una delle università più prestigiose del Paese, la Witwatersrand di Johannesburg. “Per me Mandela significa andare d’accordo con qualcuno malgrado quel che è successo nel passato, significa perdono”, dice, e ragiona: “Ci vogliono molta forza e molto coraggio per perdonare qualcuno che ti ha oppresso, gettato a terra, picchiato”. Il Mandela politico non è, né potrebbe essere, nei ricordi di Wellcome, che durante gli anni della presidenza di ‘Madiba’ era un bambino, ma l’esempio di quanto ha fatto anche dopo il ritiro da ogni ruolo ufficiale è qualcosa che per lui conta: “Era un uomo del popolo – spiega – aveva tempo da passare con i bambini, per visitare ospedali: non erano solo parole, faceva quel che diceva”. A sentire un legame, sia pur simbolico, con il primo presidente del Paese è anche Benicia, che il 10 maggio 1994 era al mondo da meno di due settimane: la sua data di nascita, infatti, è proprio quel 27 aprile che ha rappresentato la svolta della storia sudafricana. “Per questo – dice la ragazza – anche io mi sento, in un certo senso, parte del cambiamento avvenuto in Sudafrica dal tempo dell’apartheid al Sudafrica di oggi”.
Parola d’ordine. Proprio perché “i loro ricordi di Mandela riguardano gli anni del suo ritiro dalla vita pubblica, non la presidenza o il suo ruolo di negoziatore capo durante la transizione, e meno che mai il prigioniero politico o guerrigliero”, considera però padre Egan, i ragazzi della cosiddetta ‘generazione nata libera’ (born free), che non hanno conosciuto l’apartheid, considerano il padre della patria semplicemente “una sorta di figura storica”. Anche così, tuttavia, riconosce il gesuita, l’esempio di ‘Madiba’ non perde valore: “Il 1994 – dice – è stato un grande momento, in cui i Sudafricani si sono allontanati dall’orlo di una guerra civile, scegliendo un altro sentiero”. E prosegue: “Se lo ricordiamo, possiamo usarlo come una parola d’ordine per fare pressione su chi è al potere, perché mantenga o sviluppi la sua integrità e si confronti con i problemi della corruzione, della povertà, del cattivo uso dei fondi pubblici”. Questo, sintetizza il religioso “è il lascito di Mandela”.