Di Francesco Bonini
Quarant’anni dopo ritornano le immagini in bianco e nero del primo referendum, quello sulla legge che pochi anni prima aveva introdotto il divorzio. Un anniversario rotondo su cui vale la pena di riflettere brevemente.
La società italiana è straordinariamente cambiata, si è accelerata e globalizzata. Ha condiviso alcune tendenze strutturali delle società europee e occidentali, ma nello stesso tempo ha mantenuto proprie peculiarità. E, con le società occidentali ed europee, di un’Europa che nel frattempo si è riunificata, condivide oggi un momento di crisi e dunque di riflessione.
Così, quarant’anni dopo, una delle poche certezze è che molte delle certezze di quarant’anni fa sono – inevitabilmente – sottoposte ad una franca revisione. E prima di tutto una certa ideologia dei diritti civili. Non i diritti costituzionali fondamentali, quelli legati alla dignità della persona, ma una certa affermazione di certi diritti, che la società affluente degli anni Sessanta aveva posto al centro del dibattito culturale e dunque politico. Allora i due campi in cui si era divisa l’Italia referendaria avevano molto insistito su uno schema, che può essere riassunto così: la società si deve liberare e modernizzare: dopo il divorzio, avrebbero necessariamente seguito, in successione logica, aborto ed eutanasia ed ogni altra possibile liberalizzazione delle pulsioni individuali. Denunciato da una parte e affermato dall’altra, questo schema riprendeva alcune linee molto chiare di una ideologia radicale di secolarizzazione, per cui ci si doveva, attraverso questa linea di progresso, liberare dai vincoli di un antico oscurantismo. Il propellente di questa posizione culturale, prima ancora che legislativa, era un’idea individualistica e in fin dei conti narcisistica: tutto quello che è possibile deve essere consentito, con l’unico vincolo di non provocare un danno diretto ed evidente. Questi quarant’anni hanno dimostrato che la modernità non porta con sé necessariamente questo schema. Anzi.
Rapidamente infatti ci si è resi conto che i costi di una certa idea di diritti, strettamente legata all’individuo, non erano inferiori ai benefici. Bisogna infatti misurarsi con la realtà. Di qui le peculiarità italiane, il rifiuto cioè di accettare le estreme conseguenze dell’ideologia di diritti civili, legati all’individuo. Per cui, passati rapidamente divorzio e aborto, ci si è accorti del valore comunque della famiglia e del sistema delle relazioni. L’Italia ha rapidamente scalato tutte le classifiche della denatalità, con conseguenze di cui si comincia solo ora ad intravvedere la gravità strutturale, ma non sono state accettate tutte le conseguenze destrutturanti delle biotecnologie: si sono rifiutate le possibili derive eugenetiche della procreazione assistita e della stessa eutanasia, su cui si sono incamminati acriticamente altri ordinamenti. Così come il testo costituzionale sulla famiglia resta un punto di riferimento molto preciso.
Il principio di realtà insomma, ci riporta alla concretezza della vita, sempre più forte e più vera di tutte le ideologie.
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