Entrato in servizio il 28 aprile, come presidente dell’Autorità nazionale anti corruzione (Anac), il magistrato napoletano Raffaele Cantone, conosciuto per il suo impegno precedente contro i clan dei Casalesi, si è trovato, pochi giorni dopo il suo arrivo a Roma, a dover rispondere all’invito del presidente del Consiglio dei ministri Matteo Renzi che lo ha incaricato di sovrintendere ad una “task-force” anti-corruzione sui lavori dell’Expo di Milano. Una scelta maturata dopo la scoperta dei vasti fenomeni corruttivi riportati dalle cronache.
Presidente Cantone, lei è arrivato da pochi giorni alla guida della Autorità nazionale anticorruzione e subito è esploso il caso-Expo. Come ha reagito al suo nuovo incarico di “supercommissario” a Milano?
“Diciamo che la proposta del presidente del Consiglio di essere coinvolto in questa vicenda dell’Expo è stata inattesa e avrei avuto tutte le ragioni per dire di no. Si poteva giustificare dicendo che ero entrato da pochissimo nelle funzioni e che, tutto sommato, era opportuno tenerci fuori. Però io credo una cosa: don Milani mi pare si domandasse a cosa serve avere le mani pulite quando si tengono in tasca. Secondo me è anche difficile, ma necessario, tenere le mani pulite togliendole dalla tasca. In una vicenda come questa dell’Expo, in cui l’Italia si gioca la faccia a 360 gradi, se a qualcuno viene chiesto di dare una mano, rispondere di no sarebbe stato un atto di viltà”.
Nel marzo scorso, Papa Francesco ha parlato con toni severi di “corruzione” nell’omelia della messa mattutina celebrata con oltre 500 politici italiani. Che effetto le hanno fatto le sue parole?
“Per me sono state una piacevole sorpresa, anche se Bergoglio da cardinale aveva più volte trattato il tema, quindi non c’era da meravigliarsi. Credo che la sua indicazione sia stata particolarmente importante, perché nel sistema italiano il fenomeno corruttivo è stato troppo spesso sottovalutato, soprattutto dal punto di vista etico e morale. In fondo, il corruttore viene visto come un furbo un po’ più bravo degli altri. La sua indicazione, per l’autorevolezza di cui il Papa gode, può servire a cambiare la valutazione morale di certi comportamenti. Però tale indicazione forse ha rappresentato anche un richiamo forte all’interno della Chiesa, perché troppo spesso – e anche nella vicenda Expo la cosa emerge – c’è qualcuno che utilizza uomini di Chiesa, sia pure in modo strumentale, per provare a creare oscuri reticoli di potere. Quindi le sue parole sono state doppiamente opportune”.
Come valuta il ruolo di formazione morale delle persone da parte della Chiesa?
“Io mi sono occupato per tantissimo tempo del contrasto alla mafia. In questi temi il ruolo della Chiesa è stato fondamentale, nel senso che in molte realtà l’antimafia di fatto l’ha sempre fatta solo la Chiesa. Al di là dei personaggi che sono un po’ assurti a simbolo, penso a don Peppino Diana o don Pino Puglisi, citati in un documento dei vescovi del Meridione di qualche anno fa come simbolo del contrasto alle mafie, ci sono tantissimi sacerdoti, e aumentano sempre più, che hanno capito che l’impegno antimafia e quello ecclesiale non sono due cose diverse. E allora ciò può valere anche per la corruzione che, oltre a essere un peccato, è una di quelle situazioni che mettono a rischio la coesione sociale. Un maggiore impegno contro la corruzione da parte delle parrocchie potrebbe essere davvero utile”.
Ritiene, quindi, che questo non sia sufficientemente presente come impegno ecclesiale?
“Non sempre. Soprattutto al Sud in qualche occasione abbiamo verificato che, in campagna elettorale, qualche parroco si è impegnato non per chi rappresentava la scelta di legalità, ma per altri. Anche su questo versante, un’azione di discontinuità rappresenterebbe una guida morale fortissima e fondamentale. Io credo che al Sud la Chiesa abbia una grande capacità di presa; ed essendo lì la corruzione forse ancora più diffusa che in altre zone d’Italia, in forma minuta ma molto più pericolosa perché massimizzata, la Chiesa può svolgere un ruolo fondamentale di tipo formativo”.
Che responsabilità hanno le nostre leggi nella diffusione della corruzione?
“Molto spesso la ragione dell’onestà dei comportamenti non deriva dalla preoccupazione della norma, ma da una scelta individuale. Tuttavia è chiaro che, se il segnale che si manda all’opinione pubblica è che il corrotto non paga nessun prezzo, o quasi, allora il danno è davvero pesante: la mancata repressione finisce essa stessa per essere un disincentivo alla prevenzione. Penso ad esempio alla prescrizione: la permanenza nella pubblica amministrazione di un corrotto, perché i procedimenti disciplinari non funzionano, produrrà un danno di dimensione colossali dal punto di vista dell’immagine e dell’esempio”.
Si è un po’ “spaventato” per l’incarico all’Expo?
“Un po’, sì. Ma per la verità non ho avuto il tempo materiale di spaventarmi, nel senso che le cose sono andate molto veloci. Il problema oggi è quello di provare a dare un segnale di discontinuità: massima trasparenza e intervento durissimo su chi si è macchiato di corruzione, con esclusione dai rapporti contrattuali, e controllo approfondito degli appalti ancora da fare e di quelli in corso per individuare tutti gli indici di possibile anomalia”.
Ce la farete, visto che i tempi sono molto stretti?
“Io posso semplicemente dire che, per quanto mi riguarda, ci metterò il massimo impegno”.
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un encomio ma dovrebbe concedere la possibilità anche al singolo cittadino di segnalare situazioni non trasparenti. Comprendo che il lavoro di verifica sarebbe enorme ma dovendo dichiarare le proprie generalità ,tenute riservate , molti illegalità sarebbero punite