Voce e dignità al malato. Storie che restituiscano spazi, voce, dignità al malato, e ne favoriscano la partecipazione. Per Stefania Polvani, coordinatrice del Laboratorio di medicina narrativa attivo da dieci anni nella Asl di Firenze, “la narrazione aiuta il malato a dare un senso alle esperienze, e il medico a conoscere la persona che ha davanti, costruendo percorsi di cura condivisi”. La medicina narrativa migliora la pratica clinica, consente diagnosi più approfondite, favorisce le relazioni fra paziente, famiglia e medici, ottimizza la strategia curativa e la qualità del servizio, ma ha soprattutto un impatto sull’esito delle cure. E non solo Firenze: i racconti dei pazienti sono inclusi nella cartella clinica nel dipartimento cardiovascolare dell’ospedale San Filippo Neri di Roma, mentre Asl di Savona e Foligno, e servizi a Cagliari, Oristano, Sassari e Torino organizzano corsi e avviano progetti. L’attenzione è puntata soprattutto su persone affette da malattie rare, croniche, oncologiche, neurologiche, della pelle, e sui familiari di pazienti in terapia intensiva.
Iniziative, progetti, testimonianze. Lo scorso 4 maggio, Giornata nazionale dell’epilessia, è stato presentato il libro “A volte non abito qui”, frutto del primo concorso letterario “Raccontare l’epilessia”, bandito nel 2013 dalla Lega Italiana contro l’epilessia (www.lice.it), contenente 33 contributi scritti da malati, familiari e medici. Non ha dubbi Oriano Mecarelli, responsabile dell’ambulatorio per le sindromi epilettiche del Policlinico Umberto I di Roma: “La medicina narrativa dovrebbe essere implementata nella pratica clinica, come nel mondo anglosassone, perché costituisce una parte essenziale del rapporto medico-paziente”. E intanto si è appena concluso a Milano il primo master, un percorso internazionale promosso dalla Fondazione Istud (www.memdicinanarrativa.eu) con docenti del King’s College e del Tavistock Center di Londra. Nei lavori presentati le testimonianze scritte di malati di Alzheimer, che di solito non si esprimono verbalmente. Storie che per Paola Chesi, coordinatrice del master, possono indicare nuove soluzioni di intervento “di cui possono beneficiare non solo le persone in cura ma l’intero sistema di welfare, perché ascoltando i bisogni si possono orientare le policy sanitarie e sociali”. Di recente costituzione l’Osservatorio di medicina narrativa italiano (www.omni-web.org) al quale aderiscono quindici realtà, e la piattaforma virtuale ed interattiva www.viverlatutta.it. Dice Rosa Mannetta, colpita da un cancro al seno, “raccontare e condividere con altri aiuta molto, è un modo per liberare la propria anima dall’angoscia”. Per Laura Mazzeri, cui è stato asportato il colon e trapiantato il fegato, “la paura svuota la mente e blocca la vita”, ma “raccontare il trauma dà come un senso storico a questo fatto”. Dare voce alla propria malattia, insomma, ne alleggerisce la pesantezza, e favorendo la ricomposizione di un equilibrio spezzato, può essere di fronte all’ansia per il futuro un cammino di trasformazione e di speranza.
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