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Un futuro comune? Sarà meglio votare

L’insegnante di scuola materna finlandese, il calzolaio di Creta, il barista lusitano e l’agricoltore francese. Poi la guida turistica londinese, il disoccupato ungherese, l’artigiano lituano, lo studente di Francoforte e il nonno, un po’ acciaccato, che vive nei dintorni di Varsavia. C’è un po’ tutta l’Europa ai seggi per l’elezione dell’Europarlamento.
Dal 22 al 25 maggio i cittadini Ue scelgono i 751 eurodeputati che poi, nell’emiciclo di Strasburgo e nei palazzoni di Bruxelles, voteranno – assieme al Consiglio – le “leggi” comunitarie, decideranno come investire il bilancio Ue, eserciteranno il “potere di controllo democratico” sulle altre istituzioni comuni. È però quasi certo che dei 400 milioni di aventi diritto al voto, meno della metà si recherà ai seggi: nel 2009 furono il 43%. E questa volta?
Giovedì scorso i seggi si sono aperti nel Regno Unito e nei Paesi Bassi, il giorno dopo sono seguite Irlanda e Repubblica ceca, quindi sabato lettoni, maltesi e slovacchi. Infine domenica tutti gli altri. Gli ultimi seggi si chiuderanno in Italia alle 23.00 del 25 maggio: da lì in poi partirà la “notte elettorale” brussellese, che nelle ore successive diffonderà i risultati dei 28 Stati aderenti all’Unione. Ci si attende un’avanzata decisa di eurocritici, nazionalisti e populisti di varia marca, ma la maggioranza dei seggi dovrebbe restare ai quattro partiti ritenuti europeisti a tutto tondo (pur se ben differenti gli uni dagli altri per programmi e riferimenti ideologici e politici): Popolari, Socialisti e democratici, liberaldemocratici, Verdi.
Le differenze (abissali) di vedute delle centinaia di partiti nazionali che sono in lizza per gli scranni dell’Euroassemblea rappresentano del resto quella “diversità” che è un tratto caratteristico dell’Europa. Potremmo dire delle “Europe”. Non a caso il motto dell’Ue è “unità nella diversità”, ovvero una “casa comune” nella quale si dovrebbe stare insieme, sostenendosi a vicenda, secondo i principi di solidarietà e sussidiarietà (Dottrina sociale docet!), rispettando le specificità di ciascuno. Così era nella mente dei “padri fondatori”, negli anni ‘50; così è scritto nei Trattati tuttora in vigore.
Dagli antieuropei sono arrivati in questi mesi tanti “no all’Europa”, senza però proporre valide alternative politiche ed economiche, senza fornire risposte credibili alle sfide ambientali, energetiche, sociali, sulla sicurezza, sulla tutela dei consumatori, sulla ricerca…
Da chi crede a un’Europa migliore e più efficace rispetto a quella attuale, ma ancora orientata alla pace, alla democrazia, alla tutela dei diritti, allo sviluppo, sono invece giunti ricette articolate, programmi perfettibili, e accorati appelli al voto. Al voto responsabile. Dev’essere in particolare rilevata, per questa elezione 2014, la decisa presa di posizione delle conferenze episcopali di pressoché tutti i Paesi e degli organismi ecclesiali continentali. Anche nel messaggio con cui i vescovi italiani hanno concluso l’assemblea generale, svoltasi in settimana, si trova la “sollecitazione per una partecipazione attiva e corresponsabile alle imminenti elezioni europee”.
Il momento politico è delicato, le posta in gioco elevatissima. A ciascuno – cittadini, partiti, istituzioni Ue – la propria parte. L’impegno per il bene comune, anche su scala europea, sicuramente non può venir meno.

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