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Ha vinto il riformismo, ha perso la rabbia

Di Domenico Delle Foglie

In Italia la rabbia non ha vinto. E la paura che la rabbia vincesse ha giocato un ruolo decisivo. Ha vinto la domanda di riforme e di stabilità. Ha perso la tentazione di rovesciare il tavolo della democrazia rappresentativa. Ha vinto l’astensionismo, cresciuto sino al 41%. Ha perso chi non saputo rinnovarsi. Ha vinto chi ha presentato nuove idee e nuove classi dirigenti. Ha vinto Renzi. Ha perso Grillo.
In Europa non hanno stravinto gli euroscettici. Non ha subito una disfatta l’Europa dell’austerità. Due soli governi (Italia e Germania) hanno vinto. In molti Paesi questa tornata è stata vissuta come una prova elettorale interna. Governare l’Europa non sarà facile perché non si potrà ignorare il malessere espresso dagli elettori e soprattutto bisognerà adoperarsi per saldare potere e politica, pena l’irrilevanza continentale.
Qui ci occuperemo più da vicino dell’Italia e di quanto è accaduto nelle urne e nel Paese. Intanto va sottolineato che nessun analista e/o sondaggista è stato in grado di prevedere lo sfondamento del Partito democratico a trazione Renzi. Questa circostanza, non secondaria, la dice lunga sulle capacità previsionali delle nostre classi dirigenti. Tanto da indurre lo stesso Renzi, nei giorni immediatamente precedenti alle elezioni, a farsi particolarmente cauto e a mettere in conto persino un arretramento. Nessuna meraviglia, dunque, se i volti dei giovani leader del Pd, nella notte elettorale rivelassero gioia mista a incredulità.
Gli elettori italiani hanno scelto la ricetta riformista di Renzi. Alla quale corrisponde anche una sorta di antropologia politica che rigetta l’aggressione dell’avversario come metodo di azione politica. Inoltre è evidente che le parole d’ordine di Renzi hanno intercettato anche un largo schieramento moderato e ora spetta a lui e ai suoi giovani dirigenti di partito farne tesoro. Non siamo in condizione di dare consigli, ma certamente possiamo immaginare che incamminarsi sulla strada della giustizia sociale e occuparsi di famiglia e lavoro siano impegni da mantenere con risolutezza. Così come si possa e si debba continuare l’ammodernamento istituzionale del sistema Paese. Non farsi risucchiare nella palude del politicismo è la responsabilità di chi ha vinto.
Chi ha perso, Grillo innanzitutto, deve chiedersi dove vuole portare il proprio elettorato. Un cittadino italiano su cinque resta portatore di una rabbia distruttiva. Quella rabbia che risuona nelle parole dell’ex comico genovese e nelle piazze del Movimento 5 Stelle. Aver perso in pochi mesi ben 3 milioni di voti la dice lunga. Molti italiani, dinanzi all’aggressione programmatica (talvolta persino volgare) e alla mancanza di proposte di governabilità, hanno voltato le spalle al Movimento. Per Grillo ora viene il peggio: gestire una sconfitta inaspettata. Può provare ad accreditarsi come il secondo polo politico di domani, in assenza di un centrodestra convincente, ma deve scegliere. Qualcuno dirà, non senza ragione, che Grillo è già la nuova destra italiana. Si vedrà…
Ora parliamo degli italiani. Troppi hanno scelto di restare a casa. Il record dell’astensionismo che questa volta ha premiato i riformisti e ha penalizzato gli arrabbiati, non può lasciare tranquilli. Tutti hanno il compito di recuperare spazio alla politica come gestione del bene comune. A chi giustamente sottolinea la distanza tra potere reale e politica dei partiti, con il progressivo sfarinamento della democrazia rappresentativa e della capacità decisionale, va risposto con uno scatto in avanti. Tocca a tutte le forze politiche italiane (vincitori e vinti) dimostrare che la politica può tornare a incidere davvero sulla vita dei cittadini e delle famiglie e che non ha abdicato ai suoi doveri nei confronti della comunità. Certo, uno sforzo di semplificazione sarà necessario. Crediamo che lo abbiano capito persino nelle stanze di Bruxelles.
Intanto prendiamo atto che si sta aprendo una stagione politica nuova, sia in Italia sia in Europa, nella quale le vecchie categorie (progressisti e conservatori) saranno forse inadeguate a descrivere la realtà. Sarà anche nostro l’impegno di orientarci in questo nuovo paesaggio politico abitato da una nuova fauna politica. Ma dinanzi a metà Paese che non vota, nessuno può tirarsi indietro. E forse anche per i credenti si impone una profonda riflessione.
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