Di Daniele Rocchi
Con il 96,2% delle preferenze, l’ex generale Abdel Fattah al Sisi è il nuovo presidente dell’Egitto. L’unico rivale di Sisi, l’esponente di sinistra Hamdeen Sabbahi, ha ottenuto il 3,8% dei voti. L’esito del voto, secondo gli exit poll dell’Egyptian Centre for Public Opinion Research (Basira), riportati dal sito del quotidiano filogovernativo Al Ahram, è stato salutato da caroselli di macchine e da feste nelle piazze, tra cui la simbolica piazza Tahrir, centro nevralgico delle proteste che tre anni fa fecero cadere il “faraone” Hosni Mubarak. L’affluenza alle urne è stata del 46% degli aventi diritto (circa 27 milioni di votanti), contro il 52% che partecipò alle elezioni vinte da Mohamed Morsi, della Fratellanza musulmana, nel 2012. A pesare sono stati i ripetuti appelli al boicottaggio da parte delle opposizioni, dei Fratelli musulmani, messi di nuovo fuori legge dal nuovo potere, e l’indifferenza della popolazione davanti ad un esito apparso sin da subito scontato. Non sembra, quindi, aver giovato il prolungamento di un giorno della consultazione. Sul voto abbiamo chiesto un parere a monsignor Antonios Aziz Mina, vescovo di Guizeh dei Copti cattolici e rappresentante della Chiesa copto-cattolica all’interno della Costituente che ha redatto la nuova Costituzione egiziana.
Eccellenza, come giudica questo voto che ha dato all’Egitto un nuovo presidente?
“I risultati non sono ancora del tutto ufficiali. Tuttavia vanno considerati come la risposta del popolo egiziano a chi credeva che sul voto avrebbero influito pressioni e costrizioni politiche. Invece il popolo ha scelto liberamente il suo presidente. Gli stessi osservatori stranieri, insieme ad associazioni per i diritti umani, venuti per certificare la regolarità delle elezioni non hanno segnalato violazioni nei tre giorni delle operazioni elettorali”.
L’alto astensionismo potrebbe indebolire la figura di al Sisi?
“Non credo che l’affluenza alle urne sia stata così scarsa. Anche qui bisogna attendere le cifre definitive. In passato nei seggi elettorali potevano votare diverse migliaia di persone, con conseguenti lunghe attese. Questa volta i seggi sono stati molti di più e questo ha facilitato le operazioni di voto. Non vedere file ai seggi ha fatto pensare che a votare siano stati in pochi. In realtà 27 milioni di votanti è un buon risultato dal momento che non c’è stata una vera e propria sfida tra candidati. Prima della rivoluzione a votare erano solo pochissimi milioni. Dopo la rivoluzione il popolo è uscito nelle strade. Sono stati 30 milioni gli egiziani che si sono riversati nelle piazze per chiedere la caduta dell’ex presidente Morsi”.
Dopo l’elezione del presidente a quale altra scadenza è atteso l’Egitto?
“Ora ci aspetta l’ultimo passo verso la normalizzazione del Paese, ovvero le elezioni parlamentari che dovranno venire entro i prossimi sei mesi e che richiederanno una preparazione più lunga rispetto a quelle presidenziali, visto anche l’alto numero dei candidati. Ma ancor prima si dovrà approvare la legge elettorale”.
Anche l’approvazione della nuova Costituzione, cui lei ha contribuito, ha dato impulso al cammino di normalizzazione del Paese…
“La Costituzione è stato il primo passo sulla buona strada. Prima ancora lo è stato, però, il sostegno dell’Esercito alla volontà del popolo di dire basta al regime della Fratellanza Musulmana, guidato da Morsi. Con la Costituzione abbiamo una garanzia per restare sulla strada giusta, per consolidare le strutture statali e condurre una vita davvero democratica. Le sfide che attendono il Paese sono tante e difficili, lavoro, economia, rilancio del turismo, sicurezza…”.
La figura di Al Sisi pare molto più apprezzata dai cristiani egiziani che non quella di Morsi…
“Non vale solo per i copti, ma per tutti gli egiziani. I cristiani non sono qualcosa di diverso dagli egiziani. Sono una componente dell’Egitto, cittadini a pieno titolo. Consapevolmente hanno appoggiato Sisi. Morsi non si conosceva. Coloro che lo hanno votato hanno creduto che fosse la persona giusta per governare rettamente il Paese. Senza riuscirvi. La gente che gli aveva dato fiducia non lo ha più appoggiato”.
Quale futuro intravede per il suo Paese?
“Per storia e risorse l’Egitto è uno dei pochi Paesi della regione che può stare in piedi da solo senza appoggi esterni. Io sono convinto che se l’Egitto saprà sfruttare al meglio le proprie risorse, avrà presto un’economia forte che darà benessere e prosperità ai suoi abitanti e stabilità geopolitica alla regione mediorientale”.