Evangelicità. Crediamo innanzitutto che l’attività giornalistica svolta da un credente debba essere “evangelica” cioè improntata al Vangelo di Gesù. Potremmo azzardare a dire che la parola “Vangelo” ha un chiaro sapore giornalistico: essa infatti deriva dal greco e vuol dire “Buona Notizia”.
E qual è la “Buona Notizia” che il cristianesimo annuncia? È la vittoria di Cristo sul peccato e sulla morte. L’evento della morte e resurrezione di Gesù costituisce il permanente scoop che la Chiesa da 2000 anni continua a proclamare. Il fatto che la resurrezione sia l’ultima parola di Gesù sul peccato e sulla morte fa sì che l’informazione cattolica sia naturalmente improntata all’ottimismo o, per dirla con termini più cristiani, alla speranza e alla fiducia in Dio che trionfa sul male.
Testimonianza. La convinzione che Cristo superi il limite della caducità umana ha mosso e continua a muovere milioni di cristiani che, animati da questa fede, si sforzano di fare propria nella loro vita la dinamica del mistero della morte e resurrezione e realizzano così una serie infinita di opere buone a beneficio di tutta l’umanità. Basta pensare, ad esempio, a quanti si spendono in favore della difesa della vita, della cura dei malati, dell’istruzione e dell’educazione ecc. È dunque un compito specifico del giornalista cattolico andare a caccia di tutte queste buone notizie e testimonianze e di dare loro ampio risalto, perché gli uomini le vedano e rendano gloria a Dio (cfr. Mt 5,16).
Missionarietà. Se la logica della morte e resurrezione anima tutte queste realtà, si tratta di porsi verso di esse con gli stessi occhi della Maddalena, o forse sarebbe meglio dire con le stesse orecchie. Davanti a queste realtà positive, dobbiamo sentire le stesse parole che Gesù rivolse alla sua discepola: “Va’ e di’ ai miei fratelli che sono risorto!” (Cfr Gv 20,17). Si tratta, allora come oggi, di annunciare i “magnalia Dei”, le grandi opere che Dio ha compiuto e continua a compiere attraverso coloro che credono in lui.