Mobilitazione umanitaria. L’emergenza, però, è anche umanitaria, come evidenziano varie agenzie internazionali, prime tra tutte quelle dipendenti dalle Nazioni Unite. Secondo l’ufficio per gli Affari umanitari (Ocha), circa 4 mila persone hanno dovuto abbandonare Kidal a causa dei combattimenti: alcune sono riuscite a fare ritorno in città, ma circa un migliaio hanno trovato rifugio nella vicina Gao, dove sono ospitati da famiglie locali. Con la riapertura dell’aeroporto di Kidal, l’Onu ha ricominciato ad inviare nella regione aiuti di vario tipo, tra cui 194 tonnellate di cibo messe a disposizione dal Programma alimentare mondiale. L’emergenza più grave sembra però essere quella che riguarda l’acqua, la cui fornitura si è interrotta a Kidal, come ha confermato la Croce Rossa internazionale. Ripristinarla “è una delle nostre priorità”, ha spiegato il capo delegazione dell’organizzazione in Mali, Christoph Luedi, secondo cui la situazione dei civili è stata inoltre “aggravata dalle circostanze in cui hanno dovuto lasciare le loro case”. Molti infatti “sono dovuti fuggire in fretta, lasciandosi tutto alle spalle, ed ora è difficile per loro soddisfare le necessità più elementari”, ha aggiunto Luedi. Per questo la stessa Croce Rossa internazionale, in collaborazione con quella maliana, ha distribuito più di 55 tonnellate di cibo, ma anche zanzariere trattate con insetticida, materassi, coperte, arnesi da cucina e persino vestiti.
Regge la tregua nel Mali tra governo e ribelli
Posted By Simone Caffarini On In Senza categoria | No CommentsUn rigurgito di violenza in Mali, e la comunità internazionale cerca soluzioni. Dopo gli scontri che tra il 17 e il 21 maggio hanno opposto, nella città settentrionale di Kidal, vari gruppi armati tuareg e l’esercito di Bamako, la situazione dello Stato saheliano è nuovamente al centro dell’agenda diplomatica e umanitaria. I capi di Stato e di governo della Comunità economica degli Stati d’Africa Occidentale (Cedeao – Ecowas) “condannano i deplorevoli atti di violenza e gli assassinii commessi da gruppi separatisti e terroristici” così come “la cattura di ostaggi e l’occupazione di edifici dell’amministrazione” nel Nord del Paese: lo si legge in un comunicato dell’organizzazione, che ha dedicato anche alla crisi maliana il suo vertice del 30 maggio. “I responsabili di queste atrocità – chiede inoltre la Cedeao – siano identificati e puniti come vuole la legge”.La tregua tiene. Secondo le autorità di Bamako, sarebbero stati oltre 120 i morti tra i ranghi dei ribelli, ma anche fra le truppe regolari si sono contate “una cinquantina” di vittime e quasi altrettanti feriti. Un esito che ha spinto il responsabile della Difesa, Soumeylou Boubèye Maïga, a rassegnare le dimissioni, e il primo ministro Moussa Mara a sostituirlo con Bah N’Dao, alto ufficiale a riposo. Intanto sembra reggere la tregua firmata il 23 maggio tra governo e ribelli grazie alla mediazione delle Nazioni Unite e del presidente di turno dell’Unione Africana, il capo di Stato mauritano Mohamed Ould Abdel Aziz. Le sigle coinvolte sono il movimento nazionale di Liberazione dell’Azawad (Mnla, nell’acronimo francese), l’Alto Consiglio per l’Unità dell’Azawad (Hcua) e il Movimento Arabo dell’Azawad (Maa). Il cessate-il-fuoco, ha ricordato il portavoce dell’Onu Stéphane Dujarric, impegna le parti a “intavolare negoziati il più presto possibile” e a rispettare i termini dell’accordo preliminare di Ouagadougou, siglato a giugno 2013, che aveva permesso al governo di tornare a Kidal e di organizzare anche qui le elezioni del mese successivo. Da parte sua la Cedeao ha chiesto “l’immediato ritiro dei gruppi armati dagli edifici pubblici e dalle aree occupate, e il ritorno alle posizioni precedenti il 17 maggio”, ribadendo il suo impegno a “preservare l’unità, l’integrità territoriale e la natura laica dello Stato maliano”. A questo scopo, l’organismo regionale africano ha domandato alle stesse Nazioni Unite di prendere in considerazione l’imposizione “di sanzioni mirate contro i gruppi armati o i singoli che ostacolano il processo di pace”. Contemporaneamente, però, il summit del 30 maggio ha richiamato anche Bamako alle sue responsabilità, in particolare per quanto riguarda il “dialogo inclusivo inter-maliano”, un processo che andrebbe “accelerato”, così come la costituzione di una commissione per la Verità la Giustizia e la Riconciliazione, di fatto arenata.