Di Luca Marcolivio da Zenit
Introducendo un eccezionale incontro interreligioso dai risvolti anche ecumenici, papa Francesco ha fatto gli onori di casa ai suoi ospiti odierni: il presidente israeliano Shimon Peres e il presidente palestinese Mahmoud Abbas.
Dopo aver ricevuto i due capi di stato nella Casa Santa Marta, alla presenza del patriarca ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo, il Pontefice si è recato insieme a loro presso i Giardini Vaticani per l’Invocazione per la Pace, annunciata due settimane fa, durante il pellegrinaggio in Terra Santa.
Salutando le delegazioni israeliana e palestinese e ringraziandole per aver accettato il suo invito, il Papa ha auspicato che “questo incontro sia l’inizio di un cammino nuovo alla ricerca di ciò che unisce, per superare ciò che divide”.
La presenza di Peres e di Abbas è stata salutata come “un grande segno di fraternità, che compite quali figli di Abramo, ed espressione concreta di fiducia in Dio, Signore della storia, che oggi ci guarda come fratelli l’uno dell’altro e desidera condurci sulle sue vie”.
L’incontro odierno, ha sottolineato il Santo Padre, “è accompagnato dalla preghiera di tantissime persone, appartenenti a diverse culture, patrie, lingue e religioni” e “risponde all’ardente desiderio di quanti anelano alla pace e sognano un mondo dove gli uomini e le donne possano vivere da fratelli e non da avversari o da nemici”.
Il mondo, ha detto rivolto ai due capi di stato, “è un’eredità che abbiamo ricevuto dai nostri antenati, ma è anche un prestito dei nostri figli”: questi ultimi “sono stanchi e sfiniti dai conflitti e desiderosi di raggiungere l’alba della pace” e “ci chiedono di abbattere i muri dell’inimicizia e di percorrere la strada del dialogo e della pace perché l’amore e l’amicizia trionfino”.
Molti di questi figli sono “vittime innocenti della guerra e della violenza, piante strappate nel pieno rigoglio. È nostro dovere far sì che il loro sacrificio non sia vano” e che la loro “memoria” infonda in noi “il coraggio della pace” e “la forza di perseverare nel dialogo a ogni costo”.
La pace, ha osservato Bergoglio, richiede “coraggio molto più che per fare la guerra”. Servono coraggio e “grande forza d’animo”, ha ribadito, per dire “sì all’incontro e no allo scontro; sì al dialogo e no alla violenza; sì al negoziato e no alle ostilità; sì al rispetto dei patti e no alle provocazioni; sì alla sincerità e no alla doppiezza”.
Per giungere alla pace, non sono sufficienti “le nostre sole forze”, ha proseguito il Papa. “Più di una volta siamo stati vicini alla pace, ma il maligno, con diversi mezzi, è riuscito a impedirla”, ha aggiunto, precisando che non si tratta di rinunciare alle “proprie responsabilità” di uomini e, in particolare, di politici, ma di mettere al primo posto l’invocazione di Dio “come atto di suprema responsabilità, di fronte alle nostre coscienze e di fronte ai nostri popoli”.
La “chiamata a spezzare la spirale dell’odio e della violenza”, è possibile soltanto pronunciando la parola “fratello” e a “riconoscerci figli di un unico Padre”.
Francesco ha quindi iniziato la propria invocazione a Dio per la pace: “Abbiamo provato tante volte e per tanti anni a risolvere i nostri conflitti con le nostre forze e anche con le nostre armi; tanti momenti di ostilità e di oscurità; tanto sangue versato; tante vite spezzate; tante speranze seppellite… Ma i nostri sforzi sono stati vani. Ora, Signore, aiutaci Tu!”.
La preghiera del Papa ha chiesto la grazia di “essere ogni giorno artigiani della pace” e “la capacità di guardare con benevolenza tutti i fratelli che incontriamo sul nostro cammino”.
Invocando “la fiamma della speranza per compiere con paziente perseveranza scelte di dialogo e di riconciliazione”, il Santo Padre ha infine proclamato: “Signore, disarma la lingua e le mani, rinnova i cuori e le menti, perché la parola che ci fa incontrare sia sempre “fratello”, e lo stile della nostra vita diventi: shalom, pace, salam! Amen”.