Di Umberto Siro
Nei giorni 20-22 giugno, si svolgerà a Hong Kong un referendum non ufficiale sull’autonomia dalla Cina, indetto dal movimento di disobbedienza civile Occupy Central. L’iniziativa a sostegno del vescovo emerito di Hong Kong, il cardinale Joseph Zen Ze-kiun.
La marcia di 84 ore del cardinale Zen. A 82 anni, il cardinale Joseph Zen Ze-kiun, vescovo emerito di Hong Kong, con un avviso pubblicato sul settimanale diocesano, ha deciso di marciare per 84 ore in tutto il territorio, per spingere i cittadini a partecipare a un referendum non ufficiale, indetto dal Movimento di disobbedienza civile Occupy Central, che da alcuni mesi occupa uno spazio nella zona della City, vicino alla sede del Parlamento e alla Hong Kong & Shanghai Bank. Il referendum, che si svolgerà nei giorni 20-22 giugno, chiede la piena democrazia ad Hong Kong e il suffragio universale per l’elezione del governatore nel 2017. Come riferisce Asia News, gruppi di cattolici hanno deciso di accompagnare il cardinale nella marcia, che dura 12 ore al giorno e tocca 18 punti del territorio.
Il sostegno del vescovo di Hong Kong. L’iniziativa del cardinale Zen ha ricevuto il sostegno del vescovo di Hong Kong, John Tong, il quale ha dichiarato che “un sistema democratico di governo è condizione necessaria per il benessere di Hong Kong”. L’auspicio di Tong è che “con un dialogo genuino, la società potrà attuare un sistema per la nomina dei candidati e del capo dell’esecutivo che si basi su meccanismi realmente democratici”. In tal senso, il referendum è quindi “una concreta espressione dell’opinione pubblica”.
Il principio “un paese, due sistemi”. Hong Kong – al pari di Macao, una regione amministrativa speciale della Repubblica popolare cinese – è stata una colonia dell’Impero Britannico a partire dalla Prima Guerra dell’Oppio (1839-1842). La Cina ne ha ripreso la sovranità nel 1997, governandola in base al principio “un paese, due sistemi”. La Hong Kong Basic Law, il suo documento costitutivo, stabilisce che la regione goda di un alto grado di autonomia in tutti gli aspetti, tranne che nelle relazioni estere e nella difesa militare. In un documento diffuso la scorsa settimana, il governo cinese ha chiarito che “Hong Kong potrà mantenere la sua prosperità e stabilità per ancora molto tempo, se avrà ben chiaro e implementerà la politica di ‘una nazione, due Stati’. Le opposizioni a Hong Kong dovrebbero capire e accettare che la loro non è una nazione indipendente. Non dovrebbero pensare alla possibilità di replicare l’Ucraina o la Thailandia”. A parere del Governo cinese, “l’alto grado di autonomia” promessa a Hong Kong non deve andare a svantaggio della formula “una nazione”. Questo significa che le riforme di Hong Kong devono essere valutate dal bene che portano “all’unica nazione”, alla Cina, che esige – come il documento afferma – la sottomissione alla “patria”, di tutti gli amministratori statali.
Le reazioni. Fra gli amministratori, vengono posti anche gli avvocati e i giudici. Le associazioni degli avvocati di Hong Kong hanno criticato il documento, perché a loro parere è “sbagliato” mettere i giudici nella categoria degli impiegati statali e che loro difenderanno sempre l’indipendenza dei tribunali. Dal canto loro, giovani legati ad Occupy Central hanno giudicato molto grave il documento “perché – hanno affermato – si getta nella spazzatura l’autonomia di Hong Kong e l’affermazione ‘un Paese, due sistemi’”. Il cardinale Zen ha commentato così: “Le persone di Hong Kong ci tengono alla loro dignità. Se vengono repressi o forzati a essere schiavi, essi reagiranno”.
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