Di Davide Maggiore
“Se si vogliono la pace e la riconciliazione, se si vuole la fine dei conflitti, se si vogliono fermare le sparatorie e le bombe, si deve trovare un modo non solo di dialogare, ma di negoziare con chi sta causando tutti questi atti di violenza”. Così, dalla Nigeria, il cardinale John Olorunfemi Onaiyekan, arcivescovo di Abuja, torna a parlare della possibilità di un’amnistia per quei componenti del gruppo fondamentalista islamico Boko Haram che rinuncino alla violenza: un’ipotesi avanzata, nelle scorse settimane, dallo stesso capo di Stato nigeriano, Goodluck Jonathan, di religione cristiana.
Eminenza, per quali ragioni sostiene la necessità di un atto – condizionato – di clemenza?
“Mi sembra chiaro che l’esercito nigeriano ha fatto di tutto per sopprimere questo gruppo con la forza delle armi, ma finora non c’è riuscito, né sembra che le cose andranno meglio a breve. Dunque, per mettere fine alle sofferenze della povera gente, dobbiamo essere pronti a offrire la possibilità di un’amnistia a chi rinuncia alla violenza. Oggi, se i membri di Boko Haram vengono catturati, sono arrestati, processati e condannati a morte. Finché si continua così, non ci sarà possibilità per nessuno di loro di arrendersi o presentarsi alle autorità per iniziare una trattativa di pace”.
A suo parere, dunque, l’amnistia è un’opzione praticabile?
“Credo che il Paese possa permettersi di perdonare chi ha preso le armi per qualunque motivo contro la propria nazione. In una lettera aperta, il 3 giugno scorso, ho indicato le condizioni alle quali l’amnistia potrà essere offerta e diventare un passo avanti nel processo di pace: non deve essere un fine in sé stessa, ma un mezzo per la riconciliazione del Paese”.
Ma molti credono che non ci siano esponenti di Boko Haram aperti a una trattativa: le azioni del gruppo ultimamente sono diventate ancora più violente…
“In situazioni analoghe si è visto che fenomeni simili non possono terminare di colpo: ci sarà sempre qualcuno pronto a trattare e altri che non vorranno. Ma il fatto che alcuni saranno disposti, significherà che si sarà cominciato ad andare verso la soluzione del problema. Chi comincia ad aprirsi al dialogo è il collaboratore più prezioso per raggiungere gli altri, che restano con le armi in pugno! Ma sarà importante che chi si arrende venga trattato con onestà, deve essere evidente che ci si può fidare del governo quando dichiara di voler offrire un’amnistia: in caso contrario, nessuno vorrà più consegnarsi!”.
Nella sua lettera, Lei chiede anche che le vittime di Boko Haram siano compensate. Chi dovrebbe farlo?
“Questo per me è un punto fondamentale. Il presidente ha detto che chi, tra i Boko Haram si pentirà, abbandonando la violenza, sarà reintegrato nella vita sociale nel Paese e riabilitato. Ma se il governo è pronto a spendere soldi per riabilitare i terroristi pentiti, non si può non pensare alle vittime delle loro atrocità. Chi è morto non potrà essere riportato in vita, ma ha lasciato dei familiari, degli orfani, delle vedove, e per la Nigeria non sarebbe difficile compensarli: ogni anno si spendono miliardi di dollari per le operazioni di sicurezza contro Boko Haram. Quei soldi sarebbero molto meglio spesi se fossero usati per riparare ai danni causati dal gruppo, se si riuscisse a ridimensionarlo o eliminarlo”.
L’8 giugno, Lamido Sanusi, (ex-governatore della Banca centrale e oppositore del presidente Jonathan, ndr) è stato proclamato emiro di Kano, una delle massime autorità islamiche tradizionali del Paese, dopo la morte del suo predecessore. Crede che la sua nomina aiuterà ad affrontare la questione di Boko Haram?
“Boko Haram non riconosce le autorità tradizionali come l’emiro, e le considera parte del problema. Questi capi religiosi, dunque, non hanno molto potere sul gruppo. Ma certamente hanno il rispetto di molti musulmani nigeriani, di diversi orientamenti spirituali e politici. Possono quindi promuovere un dialogo intra-islamico, di cui c’è bisogno, in modo che chi condivide le convinzioni di Boko Haram possa parlare con altri musulmani e accettare l’idea di una Nigeria in cui chiunque possa praticare la propria religione in pace. Questo dialogo, oggi, non lo vediamo. Ma se i musulmani raggiungeranno una posizione comune al loro interno, accettabile per tutto il Paese, sarà poi possibile un dialogo più ampio, dove si potrà parlare di come vivere insieme liberamente”.