DIOCESI – Pubblichiamo le parole del Vescovo Carlo Besciani pronunciate durante la Santa Messa del Corpus Domini.
Vescovo Carlo: “Ė naturale che quando ci si trova a progettare una vita in comune tra persone che hanno idee diverse si vivano momenti di discussione e di confronto alla ricerca di punti in comune.
Questo è vero nelle discussioni di condominio, nella famiglia, nella Chiesa, nella politica, in tutte le realtà sociali ed economiche in genere. Non deve meravigliarci, fa parte della normale dinamica di realtà vive, fatte da una pluralità di persone diverse, di realtà che solo con il contributo di tutti possono sperare di crescere al meglio.
La fecondità di una società è stimolata dalla pluralità delle idee, così come la fecondità e la salute di un corpo è data dalla pluralità dei membri, ognuno dei quali con le sue proprie funzioni stimola e collabora al bene del tutto. Soltanto se si collabora al bene del tutto che è il corpo si trovano valorizzati anche i vari membri che lo compongono. L’illusione di poter non collaborare al tutto del corpo onde affermare se stessi, è, appunto, una disastrosa illusione, perché un membro senza il corpo semplicemente non può vivere.
Si tratterebbe di una patologia che può portare alla morte del corpo stesso. Il cancro è dato da cellule che non si coordinano più con l’organismo di cui fanno parte, ma si riproducono senza tenere conto dei bisogni del corpo.
Volendo affermare se stesse uccidono il corpo che le mantiene vive.
Stiamo celebrando la festa del Corpus Domini.
Essa, come è ovvio, si riferisce al corpo del Signore e alla sua presenza reale nell’eucaristia, esattamente in quella eucaristia che questa sera abbiamo portato in processione per le strade della nostra città. “Questo è il mio corpo … questo è il mio sangue”: è parola del Signore sulla quale si fonda la nostra incrollabile fede. Nel suo corpo e nel suo sangue il Signore Gesù continua ad essere realmente presente sotto le forme sacramentali come pane del cammino della nostra vita. Il 750° anniversario del miracolo eucaristico di Bolsena e della istituzione della festa del Corpus Domini, che ricorre quest’anno, ci rimanda a rimeditare questo mistero.
Riconfermiamo questa nostra fede, adorando con cuore umile il corpo di Cristo donato e il suo sangue versato per amore.
Ma, con san Paolo: il corpo sacramentale di Cristo rimanda al corpo sociale di Cristo, la Chiesa, di cui Cristo resta il capo. Ed è proprio in riferimento a questo corpo sociale che la processione del Corpus Domini si snoda dalla Chiesa e attraversa la città degli uomini.
La Chiesa come corpo di Cristo si costituisce attorno all’altare della celebrazione in atteggiamento adorante delle grandi opere di Dio.
Celebrando insieme, le diverse membra riconoscono di essere Chiesa, solo se unite al Capo e nutrite dal suo Corpo e dal suo Sangue che dona vita a tutto il corpo ecclesiale. Ma si è veramente Chiesa solo se ogni membro, insieme al Capo, Cristo, dona se stesso per il bene del corpo intero, quindi anche per il bene delle altre membra. Solo così le diversità di ciascuno diventano arricchimento di tutti.
La conclusione che se ne può trarre è che l’armonia del corpo sociale è data dal dono e dal servizio, non dall’autonomia di ciascuno nei confronti degli altri.
Ė, questa, una legge fondamentale di qualsiasi realtà sociale. Per questo portiamo il Corpus Domini nella città come modello anche per la edificazione della società civile, di quella società che i cristiani sono chiamati a costruire partecipando attivamente alla sua vita, non per costringere tutti ad essere Chiesa, ma informare la società di questa dinamica del dono e del servizio con un unico scopo: che il bene di tutti sia promosso. Alimentati dal dono del Corpo del Signore, appresa la fondamentalità di questa dinamica con la quale sono stati fatti Chiesa, i cristiani sono chiamati a portare questo stesso dinamismo di dono e di servizio nella realtà sociale, sapendo che questa è la sua unica linfa vitale.
Se la nostra società globalizzata oggi soffre più del necessario di tanti limiti e di tanta crisi, che, non dimentichiamolo, si ripercuotono più di tutto sui più deboli, non è forse perché alla dinamica del servizio si è sostituita la dinamica della rincorsa alle cariche per scopi personali, per invidia, per scopi di lucro, per egoismi di gruppo (quando non nazionali)? Non è forse perché non di rado si ricorre a metodi illegali e non etici, dimenticando che, se nelle varie funzioni non si vive la carità alta del servizio per il bene comune, un cancro vi si è inserito?
Se alla dinamica del sano e vitale confronto delle idee si sostituisce la prevaricazione e il potere esercitato non per portare verso una maggiore uguaglianza nella società, ma a servizio dei pochi della propria parte, allargando così le disuguaglianze, allora una patologia grave si è inserita nel corpo sociale e le conseguenze non possono essere che gravemente negative.
Quando in una società una ristretta minoranza arricchisce sempre più e la stragrande maggioranza diventa sempre più povera, come non pensare che in essa si sia insinuata una patologia che ne mina l’esistenza? Questa nostra società ha bisogno di riscoprire che cosa significhi essere un corpo solo, quanto sia importante prendersi cura del bene comune. In altre parole, ha bisogno di recuperare ciò che il Corpus Domini intrinsecamente significa per la vita sociale.
Gesù ci ha detto che “chi vuol essere il primo, sia il servo di tutti”: questo vale nella Chiesa a partire dall’ultimo sacerdote che con amore si prende cura dell’ultimo paesino della diocesi, fino al Santo Padre che presiede nella carità tutta la Chiesa universale; vale a partire dall’ultimo operaio di una qualsiasi attività imprenditoriale, fino all’amministratore delegato e al presidente del Consiglio di amministrazione; vale a partire dall’ultimo impiegato statale fino al Capo del governo e al Presidente della Repubblica.
Gesù si è fatto servo di tutti fino a donare il suo corpo, letteralmente la sua vita: questo noi, questa sera, adoriamo stupiti nell’eucaristia.
Da questo dono di Cristo è nata la Chiesa. Di questo dono e della dinamica di questo dono vive la Chiesa: stupenda realtà che unisce popoli e nazioni, al di là di ogni lingua o razza, unisce uomini e donne, ragazzi e adulti, vecchi e anziani, ricchi e poveri, ma con una innata preferenza a servire i poveri e i bisognosi. Potenza di Dio che fa di tutti un popolo solo, noi ne siamo testimoni! Stupendo mistero della Chiesa che nella fede in Cristo viviamo e di cui questa sera gioiamo per esserne fatti parte!
Ma il peccato è il grande avversario che è sempre in agguato alla porta, mai completamente domato. Esso induce alla falsità, a mascherarsi da servitori, quando invece si cerca il seguito delle pecore non per pascolarle, ma per pascolarsi; non per aiutarle, ma per servirsene; non per costruire l’unità nella ricerca del bene comune, ma per soddisfare le proprie brame di potere o di denaro.
Le patologie di qualsiasi corpo sociale non sono irrimediabili, tanto meno sono ineluttabili.
Il Corpus Domini che stiamo solennemente celebrando ci mette davanti la ricetta con la medicina che è in grado di ridare la salute. Saremo noi in grado di prendere sul serio questa medicina? Sapremo noi assumerla come terapia, sapendo che è stata validata da secoli di esperienza non solo nella Chiesa ma in tutte le realtà sociali?
Ecco, nel Corpus Domini abbiamo davanti a noi la risposta di Gesù ai vari mali della nostra società e anche della nostra Chiesa. Ė una risposta che ci chiede di assumere e portare la fatica del servizio, spesso non compreso e ostacolato da coloro che poi, senza un minimo di pudore, si lamentano perché le cose non vanno bene.
Ricordiamoci sempre che il Corpus Domini è un corpo donato e crocifisso, fecondo in noi solo se porta al dono e al servizio, per questo ha sempre il sapore del sacrificio. Ma si può forse amare senza sacrificio?