Di Alessio Facciolo

Sono passati i tempi dell’acqua benedetta del Trap versata di nascosto ai piedi della panchina: la fede, anche sui campi da calcio, non è più un tabù. Sono tanti i protagonisti del mondiale brasiliano che, in passato, hanno pubblicamente parlato della propria fede cattolica: un mondo che, tra profeti da oltremare, sghembi segni della croce e t-shirt a sfondo messianico, offre anche lo spaccato di una fede vissuta magari un po’ dietro le quinte, ma non per questo nascosta.

I pellegrini. L’allenatore dell’Italia Cesare Prandelli ha annunciato che, in caso di passaggio del turno della nazionale azzurra (reso più difficile dalla brutta sconfitta con il Costa Rica) si recherà assieme ai suoi collaboratori al santuario mariano Aparecida di San Paolo. Un pellegrinaggio che arriva dopo quello a Wielickza in Polonia durante gli Europei e che a un tifoso scaramantico potrebbe stare anche bene, visto che quella volta s’arrivò in finale. Per Prandelli non si tratta però di superstizione: il ct è un credente e, sebbene sia sempre stato abbottonato sulla sua vita religiosa (“Sono cose personali”) non ha mai negato il profondo legame con la fede, specialmente nei difficili momenti di malattia della moglie. In cammino, direzione Santiago de Campostela, si erano mossi nel 2010 gli spagnoli Iniesta, Busquets e Torres, mentre David Silva aveva preferito il santuario mariano di Benaojan: pellegrinaggi di ringraziamento per la conquista della Coppa del mondo. Altra squadra di pellegrini è la Croazia, il cui ex ct Igor Stimac nel maggio 2013 scelse come location del ritiro Medjugorje, luogo di preghiera più che di allenamenti.

Tra crocefissi e poster. Nella nazionale Croata, il più votato alla Madonna della pace è il portiere Stipe Pletikosa. Giunto sul colle delle apparizioni per ritrovare sé stesso dopo una brutta esperienza sportiva, da allora il croato gioca ogni match con una maglietta con il volto della Vergine sotto la divisa di gara. Viterbese doc e devotissimo a santa Rosa, il difensore Leonardo Bonucci le ha addirittura dedicato il suo primo gol in nazionale, arrivato proprio il 3 settembre, giorno della festività della patrona: “Solo un viterbese può capire cosa si prova – ha scritto su Facebook il centrale azzurro – evviva santa Rosa”. Il campionissimo del Portogallo Cristiano Ronaldo ha una passione per i crocifissi da portare al collo: ne ha un’intera collezione che, a suo dire, lo fa “sentire più vicino a Dio”. L’Argentina, con la foto del Papa appesa in ritiro, è forse l’unica nazionale al mondo ad avere il poster di un proprio tifoso.

Chierichetti.
 Va oltre la tradizione popolare la fede del “Chicharito” Hernandez, punta messicana del Manchester United: integerrimo dal punto di vista morale (“Non beve una goccia di alcol, e non fa mai tardi la sera”, ha dichiarato il nonno in un’intervista) il giovane attaccante prima di ogni partita s’inginocchia a centrocampo per una preghiera. “Sono cattolico, non mi vergogno a dirlo” ha dichiarato più volte, ripetendo anche le parole che sua nonna, anch’essa molto devota, gli ripeteva nei suoi momenti di crisi: “Il tempo di Dio è perfetto, e Dio conosce i tempi di ciascuno”. All’Inter chiamano invece “chierichetto” il 19enne Mateo Kovacic, promessa della Croazia, che ai giornali ha rivelato di come dedichi sempre una preghiera per i compagni di squadra più “blasfemi”: “Sanno che sono una persona religiosa, io provo a riprenderli, ma se vogliono continuare a usare quel linguaggio non posso che pregare per loro”. Tra gli azzurri, il giovane Matteo Darmian non solo va sempre a Messa, ma anche la sua formazione sportiva deve molto al mondo cattolico, avendo mosso i primi passi calcistici all’oratorio di Rescaldina, alle porte di Milano.

Preti mancati e conversioni. 
Wayne Rooney, attaccante dell’Inghilterra, da bambino addirittura voleva fare il prete: sempre con un rosario al collo, il numero 10 dei Leoni twitta messaggi di stampo religioso e prega spesso prima dei match, ma “non per fare gol, ma per la salute mia e di chi è in campo”. È stata invece una folgorazione sulla via di Damasco quella di Wesley Snejider, trequartista dell’Olanda, ex Inter. La militanza fra i nerazzurri fu galeotta per la sua conversione al cattolicesimo: rimasto “turbato” dalla devozione di alcuni suoi compagni, con l’aiuto del capitano Zanetti e della futura sposa Yolanthe Cabau, l’olandese intraprese un cammino di catechesi-lampo, in modo da potersi far battezzare nella cappella della Pinetina appena prima dei mondiali del 2010. Direttamente dal Vaticano arrivarono invece i complimenti per Didier Drogba, star della Costa d’Avorio, dopo la conquista della Champions League con il Chelsea. La punta ivoriana, che quella sera “spaccò” letteralmente il match, esultò facendosi il segno della croce: “Io credo, e prego molto – fu la sua dichiarazione a fine gara – Dio è meraviglioso”.

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