Di Vincenzo Rini
“Amatevi di vero cuore, gli uni gli altri” (1Pt 1,22), perché “la carità copre una moltitudine di peccati” (1Pt 4,8). Fu questo l’appello del primo Papa, Pietro, ai cristiani della prima ora. Un appello che è entrato nella storia fino ad oggi, fino a Papa Francesco che costantemente invita i fedeli a farsi carico di tutte le povertà del mondo con un amore concreto. Da Pietro a Francesco, pur nel mutare dei tempi e delle forme linguistiche, l’insegnamento non cambia: il cristianesimo è carità, amore reciproco che diventa testimonianza nel donare ai poveri, ai bisognosi, perché nessun cristiano che sia veramente tale può chiudersi nel proprio benessere.
È in questa linea che, ancora oggi, i fedeli cattolici sono chiamati, in occasione della solennità dei santi Pietro e Paolo (29 giugno) a donare qualcosa al Papa perché egli possa esercitare la carità di Cristo verso tutte le Chiese, verso tutti gli uomini che soffrono, verso i poveri e i bisognosi. Avviene così il miracolo di un amore generatore di amore: l’amore di Cristo si manifesta attraverso la carità del Papa, la quale è fatta e sostenuta dalla generosità di tutti i fedeli cattolici. È questa una strada fondamentale per fare sì che l’amore di Gesù verso tutti diventi manifestazione di una Chiesa, popolo di Dio, che sa camminare sulle strade indicate dal suo fondatore.
Il vescovo di Roma, venuto “quasi dalla fine del mondo” invita con insistenza i seguaci di Cristo ad essere attenti alle periferie non solo territoriali, ma, soprattutto, esistenziali, per portare a ogni uomo e a ogni donna il dono dell’amore del Signore.
Accade così che un semplice gesto, quello del donare al Pastore di tutti noi, affinché egli possa donare a chi soffre, diventa manifestazione piena e veritiera di una Chiesa che è amore perché fondata da un Signore che è l’amore di Dio mandato nei nostri cuori. È questo che ci chiede il Padre celeste per donarci sempre più generosamente il suo amore, secondo l’insegnamento di Paolo: “Dio ama chi dona con gioia” (2Cor 9,6).
Attraverso la colletta per la carità del Papa, in occasione della solennità dei santi Pietro e Paolo, tutto questo si manifesta in verità; la Chiesa cattolica esprime così la sostanza fondamentale del proprio essere, come “cattolica”, nell’universalità di un amore che non ha confini tra Paese e Paese, e come esperienza di “comunione”, per la quale i cristiani vedono in ogni uomo il fratello da amare e sostenere.
Viviamo tempi difficili per molti fedeli cattolici, e, di conseguenza, anche per le nostre parrocchie, sempre più bisognose di sostegno e di aiuto; impegnate, oggi più che mai a soccorrere i poveri di casa propria e, inoltre, i non pochi immigrati che ogni giorno bussano alla casa parrocchiale per chiedere aiuto. Potrebbe sorgere la tentazione di pensare che, forse, l’Obolo di San Pietro sia un qualcosa che, per ora, possa essere lasciato in disparte, in attesa di tempi migliori. Ma non sarebbe un modo cristiano per affrontare la verità difficile di questi nostri anni di crisi economica, che diventa inevitabilmente crisi sociale e culturale, se non addirittura antropologica.
La difficile situazione di molte nostre parrocchie non può portarci a chiudere il cuore alle necessità dei poveri di tutto il mondo. Se i nostri non sono i tempi dei primi cristiani che – come appare negli Atti degli Apostoli – sapevano dare con abbondanza i propri beni alla Chiesa perché essa li potesse usare per i poveri, possono essere, però, i tempi dell’obolo della povera vedova che gettò nel tesoro del tempio “due monetine, che fanno un soldo”, ma che, secondo Gesù, “ha dato più di tutti gli altri” perché, “nella sua miseria, vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere” (cfr Mc 12,38-44).
Anche in questi nostri tempi difficili, anche quest’anno, è necessaria, nelle nostre parrocchie, una mobilitazione generosa, affinché la carità del Papa sia in pienezza carità di tutta la Chiesa, che manifesta nel mondo che “l’amore di Cristo ci spinge” (Mc 12,38-44) ad essere fratelli universali di ogni uomo e ogni donna che soffre.
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