Di Gigliola Alfaro
Non è facile vivere nel Rione Sanità a Napoli. Soprattutto per chi è avanti negli anni. Il Rione Sanità è al centro di Napoli e, al tempo stesso, rappresenta una “periferia” nel cuore della città. Palazzi antichi e spesso fatiscenti, strade in salita, marciapiedi quasi sempre occupati da motorini e paletti e tanta, tanta povertà. Un quartiere noto per il suo degrado e per la presenza della criminalità organizzata, ma anche, negli ultimi anni, per la voglia di riscatto dei giovani che sono restati e che si stanno scommettendo il futuro, anche grazie all’impegno della Chiesa, con iniziative come il rilancio delle Catacombe di San Gennaro. Per un anziano una casa al Rione Sanità può significare, se non è al pianterreno, essere in prigione, perché quei palazzi antichi non hanno ascensori e, allora, anche andare a fare la spesa o a comprare le medicine diventa un problema. E se pure si riesce a uscire, ci sono molte barriere architettoniche da superare per chi, eventualmente, è sulla sedia a rotelle. Sono molti gli anziani che prediligono vivere in un “basso” per avere possibilità di movimento, ma soprattutto perché i “bassi” costano poco e così è più facile far quadrare i conti quando si ha una pensione sociale o di reversibilità. Certo, anche in questo caso c’è poco da stare allegri: chi ha una pensione di 560 euro e ne paga 300 di affitto, ha poi solo 200 euro per comprare le medicine e i beni di prima necessità, oltre a pagare le bollette. Nel quartiere abitano anche tanti stranieri proprio perché i prezzi degli affitti dei “bassi” sono più contenuti.
Vivere in un “basso” fatiscente. Emblematiche sono le storie di due donne, Maria e Rosa (sono nomi di fantasia), che, molto avanti negli anni, si sono ritrovate sole e con pochi mezzi per vivere. Parlano in dialetto napoletano e quando ti sentono parlare in italiano pensano che sei straniero e vieni chissà da dove. Maria ha novant’anni ed è vedova. Ha avuto cinque figli, ma tre sono morti. Gli altri due sono fuori: uno è a Milano e l’altro, forse, in Francia, non lo sa con certezza neppure lei. Maria vive in un “basso”, da sola. “Sette anni fa – racconta – mi sono rotta un femore e tre anni fa l’altro”. Maria è caduta tutte e due le volte in casa perché non c’è un pavimento adeguato. Vive, infatti, in un “basso” fatiscente: la porta d’ingresso è di legno ed è rotta; una finestra non ha più il vetro, ma è chiusa con la plastica; un piccolo bagno è stato da poco sistemato con un piatto doccia e il water. Anche se non ha recuperato del tutto, Maria riesce a spostarsi in casa quel tanto che basta. “Ho cinque nipoti – dice -, ma la maggior parte di loro viene da me solo quando incasso la pensione”. In tutto sono 960 euro, tra pensione sociale e accompagnamento. Ma per anni non ha avuto neanche quest’ultima agevolazione perché aveva la carta d’identità scaduta e non aveva nessuno che l’accompagnasse a rinnovare il documento. “Avrei bisogno di una badante – si lamenta -, ma i miei nipoti non vogliono. Perciò, due mie nipoti mi portano da mangiare, ma poi subito vanno via, hanno le loro famiglie, i loro problemi”.
Prigioniera in casa. Anche la storia di Rosa ci parla di tanta solitudine: ha 87 anni e vive in un palazzo antico al terzo piano senza ascensore. Da anni, per questo, non esce. Poi la situazione è precipitata. Ora è allettata, dopo una frattura al femore destro, causata tre anni fa da una caduta. Ma, essendo vedova, senza figli o altri parenti, subito dopo l’incidente ha tirato avanti come poteva: non è andata in ospedale e non si è fatta operare. Sono stati i vicini a segnalare il suo caso disperato, quando si sono accorti della situazione. Ha una pensione di 960 euro, grazie all’accompagnamento: “Ma 700 li spendo per due badanti ucraini, che mi assistono perché ora sono costretta a letto – afferma -, e 200 per l’affitto”. “Per poter mangiare e comprare le medicine – ammette con vergogna – sono costretta a fare debiti”. Per aiutarla la Comunità di Sant’Egidio che opera nel Rione spesso le porta qualcosa da mangiare. All’inizio non voleva far entrare nessuno, neppure i volontari della Comunità di Sant’Egidio, ora ha imparato a conoscerli e ad apprezzarli.
Reti solidali. Laura Amideo è una delle tre volontarie della Comunità di Sant’Egidio che si prendono cura di un centinaio di anziani nel Rione Sanità. Come orario le tre donne sono accanto a questi vecchietti in difficoltà dalle 8 alle 14 e dalle 14.30 e alle 16.30. Oltre agli anziani seguiti con regolarità, aiutano anche altri vecchi che devono fare pratiche per avere i pannoloni o altri ausili. L’Asl si trova in un altro quartiere, alla Doganella, lontano dal Rione Sanità. Impossibile per un anziano in cattive condizioni e senza familiari sbrigare da solo queste pratiche burocratiche. “Anche se la vita è molto dura nel quartiere, si è creata una rete di solidarietà – spiega Laura -: ad esempio, una bella iniziativa è la pizza sospesa. Chi mangia una pizza da ‘Concettina ai tre Santi’, in via Arena, lascia qualche soldo in più in modo da pagare le pizze a chi non ha la possibilità di comprarsele. Noi volontari passiamo e le portiamo agli anziani che non hanno niente da mangiare”. Nel quartiere ci sono soprattutto botteghe e solo tre supermercati. C’è, poi, la farmacia Mele che consegna anche le medicine a domicilio nel Rione. “Il dottor Ersilio – dichiara Amideo – cerca anche di fare sconti o fa pagare quando i vecchietti hanno la pensione. Qui è considerato come un eroe. C’è tanta povertà, ma anche una grande solidarietà. I negozianti, per esempio, ci avvisano se non vedono un anziano per molto tempo”. Un raggio di sole che scalda i cuori in tanta solitudine.