L’Italia non è un Paese per vecchi. Secondo gli ultimi dati della Confcommercio, i nostri pensionati sono i più tartassati d’Europa: in sei anni, il loro potere d’acquisto è stato eroso di 1.400 euro l’anno. In soldoni, si tratta di oltre 118 euro in meno a disposizione per gli “over 65”, che nella loro vecchiaia si trovano ad essere più vessati dalle tasse di quanto non lo fossero quando erano lavoratori a pieno titolo e potevano contare su ben più solide buste paga. In Italia, infatti, la pensione media non supera gli 800 euro al mese, e con queste cifre il confine tra un livello medio di benessere e la soglia minima di povertà diventa sempre più labile. È uno dei paradossi di un Paese, come il nostro, in cui gli antichi privilegi sono duri a morire: lo testimonia, è sempre notizia di oggi, le difficoltà a far diminuire i costi della politica. Gli antichi privilegi sono duri a morire, e anche se Montecitorio annuncia che le spese diminuiranno di 138 milioni in due anni, restano le difficoltà di far approvare il tetto di 240 milioni di euro lordi alle retribuzioni. Affinché il tetto, già in vigore da maggio per tutti i dirigenti pubblici, sia valido anche per i dirigenti del Parlamento, che nelle posizioni di vertice guadagnano il doppio, è infatti necessaria un’autonoma decisione delle Camere, che però arriverà solo dopo una trattativa con i 25 sindacati che le rappresentano.
L’Italia non è un Paese per vecchi. Eppure, è ai “vecchi” che si rivolgono sempre di più i molti padri e madri di famiglia che a causa della crisi non riescono a sbarcare il lunario, perché perdono il lavoro tra i 40 e i 50 anni e magari sono alle prese con lo sfratto di casa. Così, quando è possibile, si ritorna alle case di origine e ci si stringe per far convivere tre generazioni: nonni, figli e nipoti, guardati a vista proprio da questi ultimi mentre i loro padri e le loro madri stanno fuori casa alla ricerca disperata di una “second life” lavorativa, dai contorni sempre più chimerici, man mano che il tempo passa. E chi si può permettere una baby sitter?
L’Italia non è un Paese per vecchi. Ma non è neanche un Paese per giovani, visto che uno su due di loro non riesce a trovare un lavoro, e anche quando lo trova è precario, e si deve per giunta sentire affibbiato l’appellativo di “bamboccione”. Come se tutti i nostri ragazzi, per parafrasare un titolo di un noto bestseller, fossero “sdraiati” a tempo indeterminato sul divano di casa per scelta, e non perché il mondo del lavoro è sempre più una giunga selvaggia e spietata, dove non c’è spazio per la fascia di età che va dai 19 ai 40 anni.
L’Italia non è un Paese per vecchi. L’Italia non è un Paese per giovani. Che Paese è questo? Senza la memoria e senza il futuro, il pericolo è di non saper declinare più neanche il tempo presente. E così, si finisce per balbettare.
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