Di Davide Maggiore
La stampa sudafricana esulta: “Il grande sciopero delle miniere di platino è finito!”. Il 24 giugno i tre più grandi produttori del settore (le compagnie Lonmin, Anglo-American e Impala Platinum) hanno raggiunto un accordo con il sindacato radicale Amcu (Association of Mineworkers and Construcion Union) che aveva paralizzato le attività estrattive di gran parte della provincia del Nordovest, facendo allontanare i suoi 70mila iscritti dal lavoro per cinque mesi esatti. Mai un’agitazione era durata così a lungo nel Sudafrica democratico, che custodisce l’80% delle riserve mondiali di platino. L’obiettivo degli scioperanti era ottenere una paga-base uguale per tutti, 12.500 rand (circa 850 euro): un aumento del 125% per la categoria peggio retribuita. Il risultato è stato raggiunto solo in parte (l’accordo prevede incrementi di circa 1.000 rand all’anno per i prossimi tre: i lavoratori meno specializzati guadagneranno quindi 8.500 rand) e a caro prezzo sia per le industrie (che lamentano di aver perso l’equivalente di 1,66 miliardi di euro durante il blocco) che per gli abitanti dei principali centri della zona, come Rustenburg e Marikana.
Lento ritorno alla normalità. Il blocco delle attività ha avuto conseguenze pesanti sulla vita quotidiana: famiglie costrette a ritirare i propri figli da scuola per l’impossibilità di pagare una retta mensile di circa 60 euro; la necessità, nel momento in cui gli stipendi sono venuti a mancare, di trovare mezzi alternativi di sussistenza (in molti casi un solo minatore deve mantenere una famiglia allargata che può superare anche le 10 persone) come la vendita di piccoli oggetti o un’attività informale ai limiti della legalità; lavoratori migranti (provenienti, ad esempio, dalla provincia del Capo Orientale o da Paesi confinanti come Mozambico e Lesotho) tornati alle loro case in attesa che la disputa si risolvesse; debiti contratti con le banche o con gli usurai; negozi a rischio di chiusura, con ulteriori posti di lavoro persi. Ora la situazione sta tornando lentamente alla normalità: “Alcuni dei minatori che abitano più lontano non sono ancora rientrati, ma lo faranno nei prossimi giorni”, racconta padre Nel Matlala, missionario stimmatino e parroco nella zona, secondo cui “tutti hanno accolto bene l’accordo di compromesso, perché conoscono bene le difficoltà di questi cinque mesi”. Problemi restano solo “per alcune categorie particolari”, come coloro che non erano stati assunti direttamente dalle compagnie minerarie, ma da altre aziende private per lavorare negli stessi impianti. “Con lo sciopero queste aziende hanno chiuso o sono scomparse – continua padre Nel – e i lavoratori non hanno, ora, nessuno che li rappresenti”. Gli altri, invece, riceveranno parte delle paghe arretrate nei prossimi mesi, e un contributo per il ritorno al lavoro, in modo da poter far fronte almeno alle necessità più urgenti.
Futuro incerto. Le preoccupazioni riguardano però il medio e lungo periodo, con le aziende produttrici che hanno già ipotizzato – per via dei costi aumentati – di poter licenziare parte dei dipendenti. “Già ora – nota padre Nel – i minatori vengono sottoposti a test fisici e medici prima di poter tornare nelle gallerie e se non li superano possono essere lasciati fuori”. Nel momento in cui le miniere lavoreranno di nuovo a pieno regime, prosegue, è inoltre probabile che “alcuni pozzi vengano uniti, altri chiusi, e il personale ridotto”. Un’eventualità contro la quale già ha protestato il leader di Amcu, Joseph Mathunjwa, minacciando nuove proteste. “Non so cosa Amcu potrà fare – prevede però il missionario – a meno che non vengano mandate via 10mila persone insieme: sui licenziamenti individuali il sindacato non può intervenire”. In più, il ministro delle Miniere, Ngoako Ramatlhodi, ha già parlato di una possibile “ristrutturazione” delle leggi sul lavoro, che renda più difficile la proclamazione di scioperi a oltranza: un’altra prospettiva che potrebbe portare Amcu a reagire e le tensioni nell’area a crescere, in contrasto con gli appelli all’unità lanciati dal premier provinciale Supra Mahumapelo, che parla di relazioni tra le parti sociali “danneggiate” dalla lunga protesta.
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