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La gente di Aleppo prigioniera di una guerra voluta da “altri”

Aleppo

Daniele Rocchi

Una città sotto assedio e divisa, con la maggior parte dei suoi quartieri controllati dal regime e altre zone in mano ai ribelli. Una popolazione allo stremo che da tre anni subisce il fuoco incrociato dei due contendenti. Aleppo, ex capitale economica del Paese, la città più popolosa della Siria con i suoi due milioni di abitanti, molti dei quali fuggiti, la terza città “cristiana” del mondo arabo, dopo Il Cairo e Beirut, oggi si presenta così agli occhi della comunità internazionale che sembra non voler vedere quanto sta accadendo. Per molti Aleppo è diventato, con la città irachena di Diyala, uno dei confini del neo proclamato Califfato dell’Isil (Stato islamico dell’Iraq e della Siria/del Levante) guidato dallo jihadista Abu Bakr al Baghdadi. “Ad Aleppo si continua a morire ogni giorno – racconta monsignor Georges Abu Khazen, vicario apostolico latino della città – si muore per la guerra, la fame e la sete”. In città, spiega il religioso francescano, “mancano acqua ed elettricità che vengono erogate solo per pochissime ore al giorno. In alcune zone l’acqua non arriva neppure. La popolazione è in ginocchio e si sobbarca lunghi tragitti, a piedi, per riempire ghirbe, secchi e bottiglie. A patire di più sono i bambini, gli anziani e le persone malate. In questo periodo qui, ad Aleppo, fa molto caldo e la mancanza di energia elettrica non consente l’accensione dei condizionatori d’aria. E quando l’elettricità viene erogata non è sufficiente a far funzionare gli apparecchi domestici come i frigoriferi. Sono mesi ormai che in città non abbiamo la possibilità di conservare gli alimenti e siamo costretti a comperare cibi che non hanno bisogno di essere tenuti in fresco come la carne, per esempio, che non si mangia da molto tempo. I negozi sono aperti per vendere quel poco che si riesce a reperire. Con Caritas Siria abbiamo organizzato, insieme alla Mezzaluna rossa locale, la distribuzione di aiuti umanitari alla popolazione, sia musulmana che cristiana. In questa situazione critica, difficile, vediamo anche la bellezza di relazioni che si rafforzano, famiglie cristiane e musulmane che condividono quel poco che hanno, che si aiutano vicendevolmente. I nostri fratelli musulmani stanno scoprendo la bellezza della carità cristiana”.

La mancanza di acqua provoca problemi anche di natura igienico-sanitaria. Come state fronteggiando questa emergenza?

“Le cure mediche e le medicine vengono garantite in qualche modo dalla grande generosità di medici e infermieri degli ospedali pubblici e privati e grazie anche al grande sostegno della Croce Rossa internazionale e della Mezzaluna Rossa. Ma c’è un’altra grande emergenza ed è quella che riguarda i bambini”.

Che genere di emergenza? 
“Ogni giorno sentiamo i colpi di mortaio, le bombe e gli scontri a fuoco nei quartieri della città. Ogni giorno contiamo i morti sulla strada con brandelli di corpi sparsi un po’ ovunque e sotto gli occhi di tutti, soprattutto bambini. Questi vedono gente morire in ogni momento. Stiamo pensando con Caritas Siria e altri organismi umanitari di organizzare dei team di aiuto psicologico per i più piccoli”.

Come vivono, invece, i cristiani rimasti in città?
“Risentono della grave situazione come il resto della popolazione. A livello pastorale cerchiamo di continuare le attività, Messe, catechesi e incontri, con quei pochi che vengono. Molti, infatti, scelgono di restare in casa per paura di essere colpiti o attaccati”.

Che notizie vi giungono dall’Iraq? Cosa pensa della nascita del Califfato dell’Isil? 
“Siamo molto preoccupati per quanto sta avvenendo in Iraq dove, secondo alcuni osservatori, è in atto un complotto ordito da qualche potenza forse internazionale e regionale. L’Isil ha occupato un vasto territorio che va dalle porte di Aleppo fino in Iraq, e con diversi giacimenti di petrolio pronto ad essere venduto a tanti Paesi stranieri. Acquistare petrolio significa finanziare la guerra, sostenere il terrorismo e non combatterlo. Questa è l’ipocrisia delle grandi potenze internazionali che non vedono ciò che davvero sta accadendo in questa area e così facendo si rendono complici di tutta questa violenza. Appoggiano dei terroristi che non hanno timore ad affermare che la loro bevanda preferita è il sangue. Le crocifissioni, le uccisioni che sono state mostrate non sono nulla rispetto a ciò che accade”.

Esiste una via di uscita da questa guerra che sia realmente percorribile? 
“La soluzione non è finanziare o armare i contendenti. Le potenze internazionali riconoscano con coraggio di aver sbagliato nel fornire loro armi e si adoperino per metterli tutti intorno ad un tavolo per trovare una soluzione negoziale. Abbiano il coraggio della pace”.