di Umberto Sirio
Sulle colonne del settimanale cattolico “Herald Malaysia”, nei giorni scorsi è intervenuto – come riferisce Asia News – il parlamentare musulmano Mohamed Hanipa Maidin, che ha espresso così il suo dissenso sulla decisione della Corte federale di respingere la richiesta di appello avanzata dai cattolici in merito alla “controversia Allah”: “Come avvocato – ha detto – trovo bizzarra la sentenza. E come musulmano, sono del parere che non è stata resa giustizia all’Herald. L’appello alla Corte federale non è un processo automatico, ma è prassi ormai consolidata che i supremi giudici diano, di solito, il via libera al ricorso quando oggetto della contesa è un elemento di vitale importanza giuridica, un fatto di rilevanza pubblica o un argomento che tocca in modo diretto un principio costituzionale”.
L’iniziativa dei cattolici. Nel mese di giugno, la Corte Federale aveva respinto il ricorso della Chiesa Cattolica locale sul diritto di usare la parola “Allah” per definire il Dio cristiano. La giuria decise con un solo voto di scarto (4 a 3) di respingere il ricorso. La “battaglia”, iniziata nel 2007 e proseguita con alterne sentenze – in alcuni casi influenzate da gruppi islamisti che hanno esercitato pressioni sui giudici per vedere negati i diritti dei cristiani – ha originato nel Paese attacchi mirati che hanno portato al rogo di chiese, alla profanazione di tombe cristiane e al sequestro di 300 Bibbie nel gennaio di quest’anno. In Malaysia – dove i musulmani sono la maggioranza della popolazione e i cristiani sono la terza confessione religiosa (dietro ai buddisti) con un numero di fedeli superiore ai 2,6 milioni – è uso comune per i fedeli di tutte le religioni utilizzare il nome “Allah” in lingua Malay, per riferirsi alla propria divinità. Così hanno fatto anche i cristiani, che da decenni utilizzano la parola, mutuata dall’arabo ed entrata nel parlato comune, per riferirsi a Dio. La pubblicazione di un dizionario latino-malese vecchio di 400 anni dimostra come, sin dall’inizio, il termine “Allah” era usato per definire Dio nella Bibbia in lingua locale. Per le autorità di Kuala Lumpur, invece, l’uso da parte dei cattolici provocherebbe “confusione” fra i musulmani.
L’attacco alla libertà religiosa. Il parlamentare musulmano Mohamed Hanipa Maidin, ha fatto rilevare che “vi erano tutti i requisiti per accogliere il ricorso, perché sollevava una diatriba costituzionale sulla corretta interpretazione di una norma, in particolare l’art. 11 che regola la libertà religiosa. E il fatto che siano stati assegnati ben sette giudici per dirimere la controversia sta a significare l’enorme significato di una vicenda che poi, alla fine, è stata semplicemente negata e messa da parte”. Il parlamentare musulmano si è chiesto anche quale sia il valore della libertà religiosa nel Paese, perché “nonostante il nome Allah venga usato in varie parti del mondo da non musulmani, un tribunale della Malaysia si arroga il diritto di decidere che i non musulmani sono esclusi dall’utilizzo di questa parola sacra. È questo, aggiunge, il vero significato di libertà religiosa immaginata dall’islam o dai nostri padri costituenti? L’Herald non ha mai offeso né violato i principi costituzionali e con questa sentenza i supremi giudici hanno abdicato dal loro compito solenne di proteggere i diritti di Davide contro Golia”.
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