“Religiosità capovolta, sacralità laica”. Così i vescovi della Calabria hanno cristallizzato il loro giudizio sul ruolo svolto dalla ‘ndrangheta nelle terre che considera di sua proprietà. Un giudizio che si spinge a riconoscere “un uso distorto e strumentale di riti religiosi”. Il riferimento è inevitabile a quanto è accaduto a Oppido Mamertina (la sosta della statua della Madonna davanti alla casa del boss locale) e a Vibo Valentia (la sospensione della processione della Madonna del Carmine). Due fatti recenti di cronaca, entrambi successivi alla scomunica comminata da Papa Francesco ai mafiosi, nel suo memorabile viaggio a Cassano allo Jonio.
A mente fredda possiamo solo osservare che la scansione temporale induce a una riflessione aggiuntiva: è ancora lunghissima la strada da percorrere per estirpare dal cuore dei calabresi, e dei meridionali in genere, il cancro delle mafie. È del tutto evidente che occorre scavare, senza pietà, in tutte le zone grigie. Ivi comprese quelle ecclesiali, qualora emergano o se ne abbia un sentore, per dare un verso diverso alla storia sociale del Sud.
È del tutto evidente, dall’impegno assunto dai vescovi calabresi, che in loro c’è l’assoluta consapevolezza della sfida portata dalla ‘ndrangheta al cuore dei credenti e dei non credenti: dominarli e conquistarne il cuore e le menti. Ora questa consapevolezza dev’essere fatta propria da tutti i credenti del Sud. Sacerdoti e laici, nessuno escluso. E questa è l’impresa che ci aspetta. Non è una chiamata all’eroismo civile, ma alla cittadinanza buona.
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