“Oggi siamo felici. Oggi è soltanto un giorno di festa…”. Il Primo ministro italiano, Matteo Renzi, ha salutato così l’arrivo in Italia di Meriam Yahia Ibrahim Isha, la giovane cristiana di 26 anni condannata a morte a Khartoum, in Sudan, quando era all’ottavo mese di gravidanza, per apostasia e poi liberata. L’istantanea di questa storia, finita bene, è la donna sulla pista di atterraggio di Ciampino, con in braccio la figlia più piccola, Maya, nata mentre la madre era in carcere, lo scorso 27 maggio. Sullo sfondo il bireattore della nostra Aeronautica militare che, con un volo di Stato, l’ha portata in Italia. Meriam con un tailleur nero, gonna lunga, una maglia con i colori dell’arcobaleno e sandali infradito.
La storia di Meriam aveva commosso e, al tempo stesso, inorridito il mondo: dopo la condanna a morte e a 100 frustate per adulterio (per aver sposato un cristiano) inflitta a maggio scorso, la giovane era stata arrestata e messa in cella insieme al piccolo figlio di 20 mesi con una sentenza che aveva fatto mobilitare molte diplomazie, in primis quella italiana. Nella prima udienza, quella in cui gli era stata inflitta la condanna a morte, il giudice si era rivolto all’imputata chiamandola con il nome arabo, Adraf Al-Hadi Mohammed Abdullah, chiedendole di convertirsi nuovamente all’Islam. “Io sono cristiana e non ho commesso apostasia”, fu la replica della donna che gli costò la condanna a morte e la carcerazione. Solo poche settimane dopo Meriam, in cella, ha dato alla luce una bimba in condizioni durissime. “Ha partorito in catene”, rivelò il marito Daniel Wani, cittadino sudanese e americano. Il 23 giugno il tribunale sudanese ha poi deciso la liberazione della donna che fu fermata ancora una volta, per un “controllo dei documenti”, in aeroporto, mentre con i bambini era in procinto di partire per gli Stati Uniti. Successivamente rilasciata, Meriam, con la sua famiglia, ha trovato rifugio all’ambasciata americana a Khartoum, dove ha ricevuto il passaporto che le ha permesso oggi di lasciare il Paese diretta come prima tappa in Italia, dove resterà un paio di giorni prima di raggiungere New York. Il caso della donna sudanese fu citato anche dal premier Renzi nel suo discorso di apertura del semestre Ue. Parlando di Meriam, di Asia Bibi, la donna cattolica condannata a morte in Pakistan con l’accusa di aver offeso il profeta Maometto e delle ragazze nigeriane sequestrate dagli islamisti di Boko Haram, Renzi aveva sottolineato che “se non c’è una reazione europea non possiamo sentirci degni di chiamarci Europa”. Ma per un incubo che finisce, quello di Meriam, altri ne restano a minacciare la vita di migliaia di cristiani sparsi nel mondo, molti dei quali, è bene ricordarlo, rappresentano politicamente gli ultimi baluardi di libertà religiosa e di pensiero di interi Paesi, come nel caso del ministro pakistano per le minoranze Shabaz Bhatti, ucciso nel 2011.
Diverse volte Papa Francesco è tornato sulla questione delle persecuzioni nel mondo contro i cristiani. Il 30 giugno scorso, festa dei Santi Protomartiri della Chiesa romana, crudelmente uccisi al Colle Vaticano per ordine di Nerone dopo l’incendio di Roma nel 64, aveva detto: “Oggi ci sono tanti martiri, nella Chiesa, tanti cristiani perseguitati. Pensiamo al Medio Oriente, cristiani che devono fuggire dalle persecuzioni, cristiani uccisi dai persecutori. Anche i cristiani cacciati via in modo elegante, con i guanti bianchi: anche quella è una persecuzione. Oggi ci sono più testimoni, più martiri nella Chiesa che nei primi secoli”. Si comprendono bene, allora, le parole del Pontefice rivolte alla giovane sudanese, e alla sua famiglia, ricevuta questa mattina a casa Santa Marta. Nell’incontro durato circa mezz’ora – secondo quanto riferito dal portavoce vaticano padre Federico Lombardi – il Papa, l’ha ringraziata per la sua “testimonianza di fede” e la sua “costanza”. La geografia delle persecuzioni anti cristiane non conosce limiti e confini e avviene nel silenzio e nell’indifferenza del mondo.
“Oggi siamo felici. Oggi è soltanto un giorno di festa…”. È vero. La storia a lieto fine di Meriam accende la speranza e la consapevolezza che davanti ad una reazione, come quella invocata dal premier Renzi, il diritto, la giustizia e la libertà possano essere ripristinati. Oggi in Italia c’è chi parla di vittoria della libertà religiosa. Ma è davvero così? Meriam è lo specchio che riflette i cristiani in fuga da Mosul perché minacciati dagli integralisti islamici dell’Isil, le tante Asia Bibi detenute per la loro fede, le migliaia di fedeli che vivono in Kenya, Mali, Nigeria, Ciad, Tanzania, Congo, India, Cina, Afghanistan, Pakistan, Mindanao, Vietnam, Corea del Nord, Egitto, Siria, Iran, Turchia, Arabia Saudita, per una lista che comprende anche Paesi dell’Occidente dove le violazioni sono in prevalenza di carattere sociale e ideologico. Uno specchio che inchioda la comunità internazionale e i Governi davanti alle proprie responsabilità. Sempre che non sia troppo tardi…