L’indirizzo istituzionale della Costituzione vigente, che, come sappiamo risale all’immediato dopoguerra, si può riassumere in tre parole: “abbondare nelle garanzie”. Tre parole pronunciate da un costituente comunista, Vincenzo La Rocca, nei primi giorni di discussione: era il 6 settembre 1946.
La scelta della riforma oggi in discussione, come della gran parte dei progetti che l’hanno preceduta negli ultimi vent’anni, è invece quella della semplificazione, dell’efficienza e dell’efficacia, in particolare dell’azione di governo, sulla scorta della scelta per un sistema di regolazione maggioritario del sistema politico.
Questo cambio di filosofia costituzionale ha da sempre evocato (basti ricordare Giuseppe Dossetti e i comitati per la difesa della Costituzione) la denuncia di rigurgiti autoritari. Prima diretti contro Berlusconi, ora contro le proposte del governo Renzi.
Basta rispondere con un famoso hastag: state sereni?
In realtà la questione merita di essere posta e ne è una spia la trafelata disponibilità del governo a prevedere comunque un referendum confermativo, al di là dell’attuale (e non riformato) articolo 138. Giustamente poi si stanno discutendo altri utili correttivi “garantisti”, in particolare a proposto di referendum ed elezione del presidente della Repubblica, temi su cui si può fare meglio rispetto alla proposta in discussione, che pure è assai migliorata rispetto al testo iniziale. Perché tutto si tiene nella delicata architettura costituzionale e il vero rischio non è tanto del riproporsi della deriva mussoliniana, che qualcuno oggi denuncia strumentalmente, ma il caos impotente di velleitarismi vari, nel contesto di un monocameralismo a forte propulsione maggioritaria con attori politici deboli. Che poi è il vero problema dell’Italia. Così la vera questione sul tappeto, ragionando in prospettiva, è la combinazione tra riforma costituzionale e legge elettorale, che sembra, in questa fase confusa, sparita dai radar, ma che è ben presente alle forze politiche.
Infatti è proprio la partita sulla legge elettorale – insieme con quella sull’elezione del successore di Napolitano, quando questi sceglierà di lasciare – uno dei vincoli che tiene insieme la “strana maggioranza” neo-costituente, da Renzi a Berlusconi, passando dal variegato arcipelago centrista. Con esiti al momento imprevedibili.
Avanti, dunque, con giudizio. Anche per non essere costretti a ritornare sulle decisioni vuoi nel corso del processo di revisione – che, come sappiamo prevede due delibere conformi di ciascuna Camera nell’arco di non meno di tre mesi – sia nei prossimi anni, come sta accadendo per la cattiva riforma del titolo quinto. Tutte le rilevazioni d’opinione confermano che agli italiani poco interessano i temi istituzionali, ma molto la lotta ai privilegi e ai costi della politica – che si annidano rilevanti anche nelle Regioni – oltre che il livello della tassazione e la necessità di lavoro. Ovvero l’ordine del giorno della ripresa autunnale.