“Le sparatorie sono continue, anche intorno al centro della città, e c’è poca libertà di movimento, soprattutto per i cristiani”. Padre Amado Baranquel, francescano di nazionalità filippina, parla da Bengasi, dove la situazione di sicurezza, da mesi è più che precaria. Nella sola giornata di domenica, i morti sono stati decine, la stima più prudente parla di 36. In questa situazione la comunità cristiana, composta prevalentemente di stranieri – filippini e indiani – è tra quelle che soffrono di più. I fedeli “hanno persino paura di andare in Chiesa, perché temono di essere rapiti”. A terrorizzarli è anche l’episodio di un lavoratore filippino brutalmente ucciso di recente, racconta il religioso: “Lo hanno preso dall’auto dell’azienda per cui lavorava, perché era l’unico cristiano, e poi lo hanno decapitato”.
Rimpatriate le suore. Per ragioni di sicurezza anche le congregazioni religiose femminili hanno dovuto abbandonare la città: da venerdì, testimonia lo stesso padre Baranquel, “non ci sono più suore a Bengasi, stanno lasciando il Paese per ragioni di sicurezza, sperando di riuscire ad imbarcarsi prima che l’ultimo aeroporto rimasto aperto nell’area di Bengasi sia chiuso. È un aeroporto locale, dal quale possono volare su Tunisi e di qui a Roma”. La conferma arriva da una delle congregazioni coinvolte, quella delle Suore di carità dell’Immacolata concezione d’Ivrea, contattata dal Sir. “Due sorelle – riferiscono dalla casa generalizia di Roma – sono rientrate venerdì a bordo di un aereo militare, le altre sei sabato, con un volo di linea dalla capitale tunisina”, insieme alle tre religiose indiane della Santa Croce. La decisione del rimpatrio – anticipato di qualche giorno rispetto a quello già previsto – è stata presa direttamente dalla congregazione: le suore sono tutte “in salute” anche se spaventate: l’ospedale “Jum Hurryia” e la clinica in cui lavoravano non sono stati investiti dagli scontri.
Il ruolo degli islamisti. “Pregate per noi che siamo rimasti qui – chiede a sua volta da Bengasi padre Baranquel – perché possiamo restare saldi nella fede e non aver paura”. I timori della comunità cristiana derivano dalla presenza di brigate islamiche – “d’ispirazione qaedista”, sostiene il francescano – che si scontrano con le forze libiche “che non vogliono la loro presenza, come non la vuole la gente comune”. Ma i cittadini, prosegue il religioso, “non hanno la capacità di scacciarli”, ragion per cui alla guida della lotta contro di loro si è posto l’ex generale Khalifa Haftar, considerato però un disertore e un golpista da Tripoli. La situazione, dunque, è più complicata di un semplice scontro tra integralisti e laici, perché “spesso anche le milizie non islamiste combattono tra loro, oltre che con i fondamentalisti”. Oltre che nell’est, gli scontri proseguono anche nella capitale, dove si attende l’insediamento del nuovo parlamento: la scorsa settimana sono stati resi noti i risultati delle elezioni tenute il 25 giugno, in cui non potevano presentarsi liste di partito ma solo candidati indipendenti. Quelli vicini alle forze laiche, secondo quanto si è appreso, hanno prevalso su quelli vicini alle forze d’ispirazione islamica, ma un bilancio definitivo sarà possibile solo con la formazione dei gruppi parlamentari.
Si spera nel nuovo governo. La speranza espressa da p. Baranquel è che dopo questo voto “si possa davvero organizzare un governo che combatta gli estremisti”: fino a quel momento, infatti “si potrà fare poco per garantire la pace e la sicurezza”, in quanto “le cosiddette autorità ad interim non hanno questa capacità”. Al contrario, secondo il religioso, “con queste nuove elezioni e un sostegno delle Nazioni Unite potrebbe esserci veramente la speranza di un cambiamento”. Tutto ciò di cui c’è bisogno, nota “sono la pace e la sicurezza, e per noi stranieri la possibilità di spostarsi, di circolare liberamente, senza paura di essere sequestrati”. Una maggiore libertà di movimento avrebbe conseguenze positive soprattutto per quanto riguarda gli ospedali, dove molti infermieri sono di nazionalità non libica – in particolare filippina – e di religione cristiana: al momento, malgrado le difficoltà, molte strutture continuano comunque a funzionare strutture. La maggior parte dei lavoratori, infatti, abita e lavora nello stesso “compound”.