Di Luigi Crimella
La tormentata storia della fecondazione eterologa, prima vietata dalla legge 40 e poi ammessa da una sentenza della Corte Costituzionale, sembra destinata a proseguire. I passi necessari per dare attuazione al pronunciamento della Consulta sono infatti o emanare delle “linee guida” di carattere normativo, oppure prevedere una nuova legge, più stringente e precisa. Il Governo, per bocca del ministro alla Salute Beatrice Lorenzin, sembra orientato al decreto legge. Nel frattempo le questioni si susseguono: da quelle più a contenute etico, come nel caso della “eterologa involontaria” dell’impianto di gameti sbagliati in un ospedale romano, a quelle invece di natura giuridica, come le irregolarità riscontrate in una clinica a Milano (assenza di adeguata documentazione sanitaria e tracciabilità dei gameti) fino al tema della sospetta retribuzione dei donatori. Per cogliere i diversi aspetti in gioco, il Sir ha intervistato il genetista Domenico Coviello, co-presidente dell’Associazione Scienza & Vita.
Anzitutto, professore, l’aspetto che potrebbe essere considerato forse il più “semplice”: quello sull’anonimato dei donatori di gameti. È giusto che ci sia, oppure lei è contrario?
“L’argomento è dibattuto anche a livello internazionale. Mentre all’inizio in molti Paesi si è puntato sull’anonimato, oggi una vasta serie di considerazioni e di fatti negativi, oltre che l’evoluzione della ‘genomica’ che è più complicata ed eticamente esigente della genetica, sembrano propendere per il mantenimento della tracciabilità genetica, a partire da motivazioni di carattere sanitario. A questo aggiungerei il fatto della componente psicologica, che molto spesso diventa psicosomatica”.
Cosa intende?
“Il fatto è che tutti noi abbiamo un innato desiderio di conoscere la nostra origine. Potremmo citare non pubblicazioni scientifiche ma una marea di documentazioni di tipo giornalistico, storico, di testi e di film che hanno trattato l’argomento. Ci mostrano quanto sia sentita dall’animo umano da un lato l’accettazione dei genitori adottivi, ma dall’altro il profondissimo desiderio di conoscere i propri genitori biologici, quando si viene a conoscenza della loro esistenza. Finché non c’è questa risposta, le persone non hanno pace. Quindi la nostra origine genetica è fondamentale, accanto all’accoglienza e crescita da parte di genitori adottivi o che tali sono diventati a seguito di fecondazione eterologa”.
Perché “Scienza & Vita” propone i “Lea” anche per l’adozione normale?
“A nostro avviso se si prevedesse l’inserimento tra i Lea (livelli essenziali di assistenza) della ‘eterologa’ si verrebbe a creare una grossa discriminazione fra la coppia che decide di rispondere al desiderio di paternità e maternità con fecondazione assistita e quella che invece decide di adottare. Qui sarei categorico: se passa nei Lea la fecondazione in vitro, deve passare anche tutto il procedimento dell’adozione normale che comporta una serie ingente di spese e adempimenti. Chi ci ha provato sa di cosa parliamo: di anni ‘di combattimento’ con burocrazia, pratiche, giudici. L’adozione ha indubbiamente grossi ostacoli e non sarebbe giusto penalizzarla”.
Ma la fecondazione eterologa è così “pericolosa”?
“L’eterologa semplice lo è e la ‘doppia eterologa’ raddoppia tutti i rischi, perché implica persone esterne alla coppia ricevente, con storie genetiche dei donatori che possono essere sconosciute e comportare conseguenze genetiche e quindi di salute presente e futura tutte da scoprire. La chiarezza sarebbe quindi quanto mai necessaria”.
Si potrebbe obiettare che anche una coppia normale, che ha figli normalmente, può essere all’oscuro di fattori genetici preoccupanti e preesistenti…
“Questo è vero, ma con l’eterologa e la doppia eterologa, questi rischi si moltiplicano e possono propagarsi in maniera imprevedibile. C’è quindi un surplus di questioni etiche che si pongono”.
Visto l’Ok della Consulta per l’eterologa, c’è chi propone la previsione della ‘compatibilità genetica’: vale a dire la preferenza del tipo “vorrei un figlio da donatore biondo, occhi azzurri, alto e statuario”. Che ne dice?
“In questo caso saremmo davanti a una aberrazione: perché il bambino non sarebbe desiderato per se stesso, come un ‘dono’, ma i genitori lo ordinerebbero come si fa con una automobile: la voglio rossa, decapottabile, a iniezione, carenata ecc. Sarebbe la distruzione del concetto di uomo, ridotto a un oggetto di consumo ancorché di tipo affettivo. E se poi il ‘prodotto’ non piacesse? Lo si restituirebbe al ‘donatore’? Insomma, ci vuole la massima attenzione nel legiferare su questi temi”.