Di Maurizio Calipari
Vi è mai capitato di incontrare tra le vostre letture l’acronimo Ersm? Sapete cosa significa? Esperienze Religiose, Spirituali e Mistiche. In una società che corre incessantemente e cerca di fare sintesi di ogni cosa (talvolta omettendo lo sforzo della dovuta analisi previa), è stato coniato un acronimo anche per questo genere di esperienze. Ma quello che incuriosisce di più è che ad usare questa sigla siano di frequente cultori e ricercatori delle neuroscienze. Quegli specialisti (neurofisiologi, neurobiologi, neuropsicologi, ecc.), cioè, che indagano proprio sul rapporto tra funzionamento del cervello umano e Ersm. Ed ecco ancora una volta tornare in gioco il concetto di neuro-teologia.
Evolvendo alquanto rispetto al significato narrativo che ne aveva dato lo scrittore Aldous Huxley, quando coniò questo termine nel suo romanzo “L’Isola”, ai nostri giorni questa branca in divenire del sapere si occupa di indagare – e lo fa con strumenti sempre più raffinati forniti dalle moderne neuroscienze – quali aree del cervello vengono attivate durante le Ersm e il nesso esistente tra la loro attività e la dimensione trascendente della persona umana. In pratica, si vanno a ricercare le eventuali zone cerebrali “specializzate” nelle esperienze spirituali o religiose, cercando di definirne il ruolo.
C’è da dire subito che i dati fin qui raccolti sono piuttosto frammentari e, soprattutto, non sono stati ancora sviluppati protocolli di ricerca ufficiali e condivisi dalla comunità scientifica. Tuttavia, alla luce dei risultati fin qui riportati dalle principali pubblicazioni in materia, sembra ormai accertato il coinvolgimento di ben determinate aree del cervello durante le attività Ersm.
Ma il problema, forse, è un altro. Perché si portano avanti questi studi? Cosa si vuol dimostrare? Si tratta di pura ricerca finalizzata all’accrescimento del sapere umano o piuttosto di una sorta di competizione pregiudiziale tra fazioni di pensiero opposte (materialisti vs. spiritualisti?) per dimostrare il torto dell’avversario? Poniamo questo quesito perché l’interpretazione dei pochi dati ottenuti ha generato negli ultimi anni due apologetiche simmetriche ed opposte. Da un verso, alcuni neuroscienziati hanno creduto di poterne ricavare una destrutturazione radicale dell’intera esperienza religiosa. Nella loro precomprensione, quasi sempre di stampo materialistico e riduzionista, le attività encefaliche registrate dimostrerebbero che le Ersm non esistono in sé, ma soltanto come sottoprodotti dell’attività cerebrale. Di conseguenza, le funzioni mentali superiori, la coscienza e il sé possono essere ridotti a processi neurochimici e neuroelettrici. In questa cornice ideologica, l’anima è semplicemente un’illusione. Da un altro verso, una teologia di stampo spiccatamente apologetico ha sostenuto che proprio questi dati dimostrerebbero un’inclinazione innata dell’essere umano al sentimento religioso, legandosi con ciò anche alla psicologia del profondo e alla ricerca sulla filosofia della mente. In questa visuale, sarebbe proprio la presenza di aree cerebrali specifiche coinvolte nelle attività Ersm a dimostrare che l’essere umano può vivere esperienze trascendenti reali, essendone naturalmente (nel senso di ‘strutturalmente’) capace. L’attività cerebrale registrata in questi momenti, dunque, non andrebbe interpretata come la sorgente produttrice di tali esperienze, bensì come la dimensione per così dire ‘fisiologica’ dell’esperienza stessa. L’anima umana, secondo un principio di unitarietà della persona, opera muovendo anche le strutture neurologiche corrispondenti, senza mai ridursi ad esse. In definitiva, la comprensione del substrato neuronale delle Ersm non diminuisce né svaluta il loro significato e il loro valore.
Queste le due posizioni di pensiero prevalenti in questo ambito, accomunate solo dal fascino per le possibilità conoscitive della neuro-teologia. Purtroppo, di fronte a scenari ermeneutici così irriducibilmente contrapposti, non sembra proprio possibile raggiungere un punto di sintesi che concili le posizioni di partenza. Tanto da concludere che chi si occupa di neuro-teologia dovrebbe probabilmente ridimensionare le sue pretese. Non pare infatti molto sensata l’aspettativa di voler dimostrare l’esistenza o la non esistenza dell’anima (della dimensione trascendentale della persona) a partire dallo studio dell’anatomia e della fisiologia, trattandosi di dimensioni umane essenzialmente differenti, entrambe oggetto di discipline conoscitive (le scienze sperimentali e la filosofia/teologia) metodologicamente autonome e in buona parte inconciliabili. Con buona pace del primo “neuro teologo” della storia, abitante dell’isola (inesistente) di Pala, frutto della fantasia letteraria di Huxley.