E così si è pentita. Ci sono voluti 25 anni di matrimonio con lo stesso adorante uomo ma alla fine Erica Jong ha riabilitato la vita coniugale (“il matrimonio è prezioso”) e, alla tenera età di 72 anni, guardando al passato dichiara con serena flemma: “Ho detto tante cose terribili, ma ero giovane e cinica”. Bene signora Jong, l’importante è rendersene conto. E ce ne rallegriamo, giacché solo gli stolti non cambiano mai idea.
Ora, però, sarebbe simpatico da parte sua (e non solo) riconoscere che c’è un tempo per fare i soldi scandalizzando e c’è un tempo per fare altri soldi pentendosi. In fondo la generazione che lei ha così convintamente e attivamente contribuito a liberare dalle pastoie e dalla stanchezza del sesso matrimoniale monogamico con il suo romanzo più celebre “Paura di volare” è invecchiata e ha bisogno di confidare in nuove certezze. Il libro ha venduto la bellezza di 30 milioni di copie nel mondo, viene ancora oggi ristampato ed è considerato uno dei grandi classici della letteratura femminista impegnata.
Allora perché ripudiare la propria creatura? Non sarà che è solo un altro modo per far parlare ancora di sé facendo la contro-contro-rivoluzionaria? Il dubbio è lecito leggendo diverse altre interviste rilasciate dalla Jong a riviste “liberal” statunitensi: i toni sono molto diversi. Pur riconoscendo che “la promiscuità non dimostra che sei sessualmente liberato”, il suo atteggiamento sul matrimonio resta critico: “Noi tutti abbiamo enormi fantasie sul matrimonio, ma non sei veramente destinata a sposarti finché non hai più di 50 anni, perché quando sei giovane, sei nervoso e vuoi assaggiare tutto, quindi è molto difficile essere sposati”. L’età incalza, dirà qualche malevolo, con tutto ciò che ne consegue. Al “New York Observer”, infatti, l’arzilla signora ha dichiarato serena che “come si invecchia, diventa più facile. Prima di tutto, hai fatto pace con un sacco di cose, hai sperimentato un sacco di cose, e si è in grado di apprezzare la stabilità. In realtà, i migliori matrimoni sono terzo e quarto matrimonio, quando tutti sono troppo stanchi”. In questo contesto, anche gli stralci di intervista al “Corriere della Sera” assumono un corretto significato “paraventista”.
La stessa autrice che 40 anni fa ha inventato l’espressione “zipless fuck”, entrata nel gergo comune per descrivere il sesso senza impegno, senza obblighi di legami affettivi, oggi si abbandona convinta e commossa a pensieri decisamente più rassicuranti: “Ora penso che la cosa più preziosa sia avere qualcuno che ti guarda le spalle”. Non a caso la prossima fatica della scrittrice si intitolerà “Paura di morire”, che racconta la storia di una donna sposata che va in cerca di altri uomini per sentirsi più giovane e alla fine, cogliendo l’inutilità della cosa, capisce che ama suo marito. “Non è facile per una donna invecchiare, non sentirsi più attraente come una volta…” ha confidato la Jong alla giornalista che la intervistava. Già, non è facile. Il tanto decantato “poliamore” oggi tanto di moda tra gli intellettuali e sdoganato con disarmante disinvoltura dai quotidiani, non pare quindi rivelarsi la soluzione più indicata. E allora è arrivato il momento di rivalutare altre opzioni? Oppure, gap generazionale al contrario: siamo ormai così immersi nella sessualità parlata, esibita, finto liberata che come ebbe a dire la stessa Erica Jong solo poco tempo fa “siccome le figlie vogliono essere diverse dalle loro madri, se le madri hanno scoperto il sesso libero, loro vogliono riscoprire la monogamia”?
Per chiudere, un segno dei tempi. Un mio caro amico mi ha raccontato di aver tentato di vendere alla bancarella dell’usato il libro della Jong. Senza successo. Il titolare del mercatino ha cortesemente declinato la proposta con la seguente, icastica, motivazione: “Per carità, di questa ne abbiamo anche troppi e non si vendono”. Leggerezza per leggerezza, come diceva Coco Chanel: pentitevi sensatamente.
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