di Davide Maggiore
“La radio è chiusa da quasi due settimane e non possiamo trasmettere: abbiamo parlato con il governo del Sud Sudan alcuni giorni fa, ma ancora aspettiamo che ci richiamino per firmare” alcuni documenti richiesti. Così, da Juba, Albino Tokwaro, direttore di Radio Bakhita, sintetizza la vicenda dell’emittente diocesana cattolica, chiusa per ordine delle autorità sabato 16 agosto dopo aver trasmesso una notizia sugli scontri in corso tra truppe regolari e ribelli. Il servizio affermava che sarebbe stato l’esercito ad attaccare questi ultimi nei pressi dell’importante città di Bentiu, pur dando conto anche della versione ufficiale, opposta. Dopo questi fatti le trasmissioni erano state interrotte e il caporedattore della radio, Ocen David Nicholas, incarcerato fino al 19 agosto.
Accuse di collaborazionismo. Il direttore Tokwaro, parlando con il Sir, cerca di chiarire l’accaduto: “Il caporedattore e i giornalisti che erano in servizio quel giorno si sono limitati ad aggiungere a un comunicato consegnatoci da un ufficiale dell’Spla (l’esercito nazionale, ndr) una dichiarazione del portavoce dell’opposizione armata, già riportata dal sito del ‘Sudan Tribune’: questo forse è stato percepito come lo squilibrio” nell’informazione di cui Radio Bakhita è accusata. Le autorità, precisa Tokwaro, hanno accusato Nicholas di “collaborare con i ribelli” per via di quanto accaduto. All’emittente è stato anche chiesto – in vista di una riapertura di cui ancora non si conoscono i tempi – di rinunciare a trasmettere alcuni programmi di argomento politico. Ma questi, nota il direttore, hanno sempre dato voce a tutti: “Nel nostro spazio del mattino, ‘Wakeup Juba’, sono venuti a parlare anche esponenti del governo e noi ne siamo stati felici!”. In più, il commento politico non è l’unica, né la principale preoccupazione della radio cattolica sudsudanese: “Abbiamo, naturalmente, programmi religiosi – specifica Tokwaro – ma anche trasmissioni sull’agricoltura, sui giovani, sulla convivenza tra le diverse etnie del Paese; solo uno o due programmi riguardano la politica”.
Solidarietà internazionale. Con la chiusura dell’emittente anche “i programmi di educazione civica restano fermi e la gente ci telefona da tutta la città chiedendoci quando potranno ascoltarci di nuovo, e non sono gli unici!”, aggiunge Tokwaro, dicendo di aver ricevuto “telefonate in cui mi domandavano di Radio Bakhita da tutto il mondo”. Parole per nulla esagerate: l’ong statunitense per la libertà di stampa “Committee to Protect Journalists” (Cpj) ha denunciato l’accaduto, riaffermando l’imparzialità della stazione diocesana ed esprimendo una “condanna” per il comportamento del governo. La decisione delle autorità è stata criticata anche dall’Unione europea, i cui rappresentanti in Sud Sudan hanno spiegato di guardare “con particolare preoccupazione alla chiusura di Radio Bakhita e all’arresto” di Nicholas. Anche Toby Lanzer, capo della missione Onu in Sud Sudan (Unmiss), ha scritto su Twitter di essere “preoccupato” per quanto avvenuto all’emittente cattolica nell’ambito di quello che ha definito “a prima vista un peggioramento della situazione per i media in Sud Sudan”. Circostanza, quest’ultima, confermata da attivisti come Oliver Modi, presidente dell’Unione dei giornalisti sudsudanesi, che ha parlato alla stampa locale di “media sotto attacco” e definito “anticostituzionale” il provvedimento contro Radio Bakhita.
La guerra continua. Un appello a risolvere la questione è arrivato anche da padre Chrisantus Ndaga, coordinatore delle comunicazioni sociali dell’Amecea (l’associazione delle conferenze episcopali dell’Africa orientale): l’emittente cattolica, ha ricordato “è uno strumento cruciale al servizio degli sforzi per costruire la pace in Sud Sudan”. Ma intanto continua il conflitto, scoppiato nello scorso dicembre, tra il governo del presidente Salva Kiir e il ribelli fedeli al suo ex vice, Riek Machar. L’Igad, organismo regionale che sta tentando una mediazione rimasta per ora solo sulla carta, ha concesso altri 45 giorni di tempo alle parti per formare il governo di unità nazionale su cui sembrava essere stato raggiunto un accordo. L’opposizione armata ha tuttavia ancora nelle sue mani sei osservatori che dovevano verificare la tenuta del cessate il fuoco nella regione di Unity: la loro detenzione è stata condannata da Unmiss.